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Poster025_ID19_USO DEL FONENDOSCOPIO ELETTRONICO PER IL MONITORAGGIO DELLA FISTOLA ARTERO VENOSA NATIVA NEL PAZIENTE EMODIALIZZATO: case report



USO DEL FONENDOSCOPIO ELETTRONICO PER IL MONITORAGGIO DELLA FISTOLA ARTERO VENOSA NATIVA NEL PAZIENTE EMODIALIZZATO: case report


Grazia Petruzzelli1, Giuseppe Petruzzelli2, Tiziana Piccolo3.

1Infermiere libero professionista
2Infermiere specialista nell’unità di Dialisi presso l’ospedale Mons. Dimiccoli di Barletta
3Direttore dell’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi presso l’ospedale Mons. Dimiccoli di Barletta


INTRODUZIONE

Nel paziente emodializzato è importante andare a valutare periodicamente lo stato di salute, nonché livello di funzionalità, dell’accesso impiegato per la terapia renale sostitutiva, questo nell’ottica di evidenziare in maniera precoce possibili alterazioni che, nel tempo, potrebbero andare ad alterare significativamente l’efficacia della terapia cui il paziente si sottopone con cadenza bi, tri o quadri settimanale, a seconda delle necessità cliniche. Proprio per questo motivo sarebbe opportuno inserire questa categoria di pazienti, specialmente facendo riferimento a coloro che risultano essere portatori di F.A.V., nativa o protesica che sia, all’interno di un apposito sistema e programma di monitoraggio dell’accesso vascolare in questione. Alla base di tale approccio vi è, ovviamente, l’esecuzione di un accurato esame obbiettivo (1) del vaso arterializzato, comprendente le tre fasi: ispezione e palpazione della cute corrispondente all’area di interesse ed auscultazione dei soffi. Particolare attenzione andrebbe posta proprio a quest’ultimo passaggio dell’esame per il quale sarebbe da preferire l’impiego di un Fonendoscopio elettronico ad uno analogico, purtroppo ancora molto poco diffuso in clinica, seppure il suo utilizzo rappresenterebbe per l’operatore un aiuto non indifferente. Tale device consente, infatti, l’amplificazione dei suoni anche fino a 40 volte rispetto all’intensità originaria e la loro simultanea traduzione nei grafici corrispondenti, questi valutabili visivamente in quanto trasmessi su un telefono cellulare o un personal computer connesso al device in uso(2).


METODOLOGIA

Nell’ottica di apprezzare l’effettiva utilità di un Fonendoscopio elettronico si osserva il seguente caso clinico, individuato presso il Centro Dialisi dell’ospedale Monsignor Dimiccoli di Barletta: paziente donna, 65 anni d’età, affetta di IRC terminale, sottoposta a trattamento emodialitico con cadenza trisettimanale. Come accesso vascolare per la terapia renale sostitutiva, la paziente dispone di una Fistola Artero Venosa nativa prossimalizzara latero-laterale, di soli due mesi d’età ma già sottoposta a revisione chirurgica. Il vaso viene attentamente valutato con l’esecuzione di un accurato esame obbiettivo dello stesso, comprendente le fasi di ispezione e palpazione della cute. Particolare attenzione viene posta alla fase di auscultazione della Fistola, fase durante la quale viene utilizzato un Fonendoscopio elettronico Littman Core Digital 8490. All’auscultazione, eseguita in tre sedi differenti, seguendo quello che è il decorso della vena arterializzata che in questo caso corrisponde alla Vena Cefalica, in particolare nel terzo tratto distale, nel terzo intermedio e nel terzo prossimale dell’avambraccio. Quel che risulta apprezzabile è un soffio di tipo Sisto-Diastolico continuo, e quindi di natura fisiologica, ma con un intensità estremamente ridotta, elemento che risulta essere facilmente osservabile ponendo attenzione a quelli che sono i grafici dei suoni percepiti, grafici che sono valutabili in quanto elaborati durante la fase di auscultazione dal Fonendoscopio elettronico stesso, e riprodotti simultaneamente sul telefono cellulare cui il device è collegato, questo grazie ad un’apposita applicazione preventivamente installata sul cellulare. Data l’anomalia riscontrata relativamente all’intensità del soffio restituito dalla Fistola, si decide per un approfondimento tramite l’esecuzione di un controllo ecografico del vaso, valutazione in seguito alla quale si evince come le specificità dello stesso non rispecchino quelli che sono i valori minimi e range di riferimento, relativamente alla maturazione dalla Fistola, per far sì che la stessa venga ritenuta idonea ed utilizzata come accesso vascolare per la terapia renale sostitutiva (secondo la regola del sei: Diametro ≥0,6cm, profondità ≤0,6cm, portata o Qa ≥600ml/min)

A due mesi di distanza dall’esecuzione del primo controllo, si esegue una seconda rivalutazione della fistola durante la quale di apprezza un significativo miglioramento del soffio percepito durante la fase di auscultazione del vaso, relativamente alla sua intensità, dato convalidato anche da un incremento dell’ampiezza dei grafici corrispondenti alle auscultazioni stesse. Il vaso viene rivalutato anche ecograficamente e ciò che viene osservato corrisponde a ciò che l’auscultazione aveva anticipato, si prende nota, infatti, di una variazione in positivo dalla portata (Qa) del vaso.


RISULTATI

Il caso clinico analizzato consente di ipotizzare l’esistenza di una stretta correlazione tra la portata che caratterizza una Fistola (Qa) ed i suoni rilevati al momento dell’auscultazione della stessa, durante l’esecuzione dell’esame obbiettivo. Più precisamente si presume esista un legame tra la portata della F.A.V., che altro non è se non la quantità di sangue che fluisce all’interno del vaso arterializzato, e l’intensità del soffio individuato. Inoltre, nel caso in cui per l’auscultazione venga impiegato un fonendoscopio elettronico, ne consegue come l’ampiezza del grafico risultante sia proporzionale all’intensità del suono rilevato. Il grafico è, di fatto, lo specchio dell’intensità del soffio, per cui quanto maggiore sarà la sua intensità, tanto maggiore sarà l’ampiezza del grafico.

IMMAGINI


CONCLUSIONI

L’auscultazione della Fistola, se eseguita correttamente ed in associazione all’esame obbiettivo del vaso arterializzato, consente di ottenere una serie di utilissime informazioni relative al livello di funzionalità, e quindi lo stato di salute, del vaso in esame, oltre al rendere possibile la precoce rilevazione di eventuali alterazioni endoluminali che, se non trattare nel breve termine o trascurate, potrebbero nel tempo andare ad alterare l’efficacia dialitica e condurre persino al fallimento dell’accesso vascolare stesso. Inoltre, questa pratica, se inserita all’interno di un apposito sistema di monitoraggio dedicato ai pazienti dotati di F.A.V., rappresenterebbe un validissimo sostegno nel monitoraggio nel lungo termine degli accessi vascolari di questa natura. Purtroppo, tale pratica è troppo spesso sottovalutata in clinica, specialmente se adoperata da personale infermieristico; ma, se si prende in considerazione l’impiego di un device quale un fonendoscopio elettronico, come è stato fatto nel caso riportato, con la sua intrinseca capacità di amplificare il suo anche fino a 40 volte l’originale oltre che renderlo più nitido, si può ben intuire l’enorme ausilio che rappresenterebbe in quanto, proprio grazie al suo impego, aumenterebbero significativamente sia la sensibilità dell’operatore che la capacità interpretativa dello stesso delle singolarità dei soffi individuati.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

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Poster025_ID18_LA CLEARANCE IN RELAZIONE AD UN DIVERSO POSIZIONAMENTO DEGLI AGHI NEL PAZIENTE EMODIALIZZATO: Case Report



LA CLEARANCE IN RELAZIONE AD UN DIVERSO POSIZIONAMENTO DEGLI AGHI NEL PAZIENTE EMODIALIZZATO:
Case Report


Grazia Petruzzelli1, Giuseppe Petruzzelli2, Tiziana Piccolo3.

1Infermiere libero professionista
2Infermiere specialista nell’unità di Dialisi presso l’ospedale Mons. Dimiccoli di Barletta
3Direttore dell’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi presso l’ospedale Mons. Dimiccoli di Barletta


INTRODUZIONE

Nel paziente emodializzato è importante valutare periodicamente una serie di parametri, indicatori dell’effettiva efficacia della terapia dialitica cui il paziente si sottopone con cadenza bi, tri o quadri settimanale, a seconda dei casi e delle necessità cliniche del singolo. Proprio per questo motivo, questo tipo di pazienti vengono sottoposti ciclicamente a prelievi ematici per il monitoraggio e l’eventuale correzione di possibili variazioni di una serie di valori ematochimici, i quali, in caso di approccio terapeutico inadeguato, risulterebbero, in maniera più o meno importante, mossi dai range di normalità.

Esiste, però, un altro elemento che in ambito clinico consente di comprendere effettivamente come il paziente stia dializzando, e quindi il suo grado di depurazione. Questo elemento è la Clearance dialitica, ovvero un indicatore che fa riferimento alla quantità di sangue, o plasma, depurata da una determinata sostanza nell’unità di tempo. Più precisamente, in ambito dialitico la Clearance fa riferimento alla quantità di sangue trattato nell’unità di tempo cui viene sottratto l’azoto disciolto al suo interno; si fa, quindi, riferimento all’azotemia del paziente. Tale valore risulta essere facilmente valutabile in quanto viene restituito direttamente dal rene artificiale cui il paziente è connesso ed è, ovviamente, strettamente correlato ad una serie di specificità quali: il tipo di trattamento emodialitico cui il paziente è sottoposto come da prescrizione medica, nonché le dimensioni, e quindi la superficie, del filtro usato. Insieme a questi due aspetti è, inoltre, imprescindibile andare a valutare anche lo stato di salute ed il livello di funzionalità dell’accesso utilizzato, specialmente qualora si faccia riferimento ad una Fistola Artero Venosa.


OBIETTIVO

A testimonianza del fatto che la Clearance non è solo ed esclusivamente correlata a fattori quali la procedura dialitica eseguita e la capacità funzionale della Fistola, è stato preso in esame un caso clinico individuato presso il centro Dialisi dell’Ospedale Monsignor Dimiccoli di Barletta. Il paziente in questione, uomo, 60 anni di età, con IRC in trattamento emodialitico, ha a disposizione come accesso vascolare una Fistola Artero Venosa nativa di circa un anno con una portata (Qa) pari a 1800ml/min, documentato dallo specialista. Durante le sedute emodialitiche si nota come il valore della Clearance restituito dal rene artificiale cui il paziente è connesso, risulti essere inferiore rispetto ai parametri di riferimento (>200ml/min con un Qb di 300ml/min); viene, per cui, preso nota di quelli che sono i punti in corrispondenza dei quali vengono di consueto posizionati gli aghi, quello arterioso e quello venoso, per la connessione del paziente al rene artificiale. In seguito alla constatazione della suddetta anomalia si opta, dopo aver eseguito un accurato esame obbiettivo dell’area corrispondente al decorso del vaso arterializzato, con esito negativo, per il posizionamento dei due aghi in sedi alternative rispetto a quelle abitudinariamente utilizzate. Precedentemente, infatti, l’ago arterioso veniva posizionato lungo il decorso della Vena Cefalica, nel terzo tratto intermedio dell’avambraccio, mentre l’ago venoso veniva posizionato lungo il decorso della Vena Mediana Basilica, in corrispondenza della Fossa Cubitale. Nell’ottica di apprezzare una variazione della Clearance dialitica, l’ago arterioso continua ad essere posizionato lungo il decorso della Vena Cefalica, in corrispondenza del terzo tratto intermedio dell’avambraccio, mentre, l’ago venoso viene posizionato lungo il decorso della Vena Cefalica, in corrispondenza del terzo tratto intermedio del braccio. Si specifica che in entrambi i casi, sia l’ago venoso che quello arterioso, sono stati posizionati in modalità bevel up, in direzione anterograda.


RISULTATI

In seguito al tentativo di variare la sede della veni puntura, è effettivamente stato apprezzato uno spostamento in positivo relativamente al valore della Clearance dialitica restituita dal monitor. Il paziente è stato poi sottoposto ad una consulenza eseguita da parte del medico specialista il quale, in seguito a controllo ecografico, ha riscontrato un’iperplasia dell’intima vascolare in corrispondenza dell’area ove precedentemente veniva posizionato l’ago venoso, anomalia presumibilmente responsabile di un disturbo del deflusso ematico che si è tradotto in un’alterazione importante della Clearance.

IMMAGINI

 


CONCLUSIONI

Grazie all’attenzione posta dall’infermiere nei confronti del valore della Clearance dialitica restituita dal monitor, è stato possibile rilevare un’anomalia relativamente alla capacità funzionale della fistola che alterava in maniera significativa l’efficacia terapeutica delle sedute dialitiche. Ciò permette di comprendere come, non sempre, l’avere a che fare con una fistola apparentemente normo funzionante e con una buona portata equivale a garantire al paziente un’adeguata dose dialitica, pur riuscendo a raggiungere 300ml/min di Qb.

Da qui l’importanza di valutare costantemente, durante le varie sedute dialitiche, non solo il come si presenta l’accesso utilizzato per la procedura, ed in questo caso si fa riferimento ad una fistola Artero Venosa nativa, tramite l’esecuzione dell’esame obbiettivo (comprendente la fase di ispezione, palpazione ed auscultazione dell’area di interesse), ma ciò deve essere associato ad un attento monitoraggio di una serie di parametri, specchio dell’effettiva dose dialitica che viene somministrata al paziente nel corso della seduta stessa, nonché indicatori indiretti della capacità funzionale dell’accesso, tra cui, per l’appunto, la Clearance dialitica.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  • Schneditz D, Ribitsch W, Keane D.F, Intradialytic techniques for automatic and everyday access monitoring, Epub 2023 Jun 27

Poster025_ID17_IL SELF-CARE NEL PAZIENTE PEDIATRICO CON INSUFFICIENZA RENALE CRONICA E NELLA SUA FAMIGLIA: una scoping review



IL SELF-CARE NEL PAZIENTE PEDIATRICO CON INSUFFICIENZA RENALE CRONICA E NELLA SUA FAMIGLIA:
una scoping review


Angileri Salvatore1; Ciofi Daniele2; Ciabilli Giulia3; Cozza Stefania2; Gregorini Mirco2; Mazzotta Rocco4; De Maria Maddalena5.

1Ospedale Pediatrico Meyer IRCCS, Unità Operativa Ricerca di Fisiopatologia Clinica e Cellulare, Firenze
2Ospedale Pediatrico Meyer-IRCCS, Dipartimento delle Professioni Sanitarie, Firenze
3Dipartimento di Scienze della Salute Umana, Università degli Studi di Firenze
4Dipartimento Biomedicina e Prevenzione, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Roma
5Dipartimento di Scienze della vita, della salute e delle professioni sanitarie, Link Campus University, Roma


INTRODUZIONE

La malattia renale cronica (MRC) nei bambini è caratterizzata da alterazioni strutturali o funzionali dei reni che persistono oltre tre mesi (1,2). Sebbene condivida caratteristiche con l’età adulta, presenta peculiarità pediatriche come effetti sulla crescita e conseguenze a lungo termine (3). La qualità della vita (QoL) dei giovani pazienti è ridotta, con problematiche emotive e psicologiche rilevanti (4,5). L’acquisizione di abilità di self-care è fondamentale per migliorare la gestione della MRC e, conseguentemente, la qualità della vita di pazienti e relativi familiari (6,7). Il self-care è un processo (8) attraverso il quale gli individui adottano comportamenti per mantenere la propria stabilità fisica ed emotiva, per monitorare la presenza di segni e sintomi della malattia cronica e per gestire tali segni e sintomi quando si manifestano. Il self-care può contribuire a migliorare la qualità di vita per il paziente, e interventi educativi focalizzanti su questi comportamenti potrebbero migliorare la gestione della MRC.

Sebbene il ruolo cruciale dell’educazione e del self-care nel migliorare gli esiti per questa popolazione sia sempre più riconosciuto, esiste una lacuna significativa nella disponibilità di letteratura sintetizzata riguardanti interventi educativi specificamente progettati e strumenti di valutazione per il contesto della MRC pediatrica. Questa lacuna ostacola lo sviluppo di strategie efficaci e personalizzate per il miglioramento degli esiti clinici e psicologici di questa popolazione specifica.

  1. Pertanto, ci siamo posti le seguenti domande:
    1) Quali sono le evidenze disponibili sull’impiego di approcci integrati utilizzati per migliorare il self-care e la QoL nei bambini, negli adolescenti con MRC e nei loro familiari?
    2) Quali sono gli strumenti utilizzati per valutare la QoL nella MRC in età pediatrica e nei familiari? Qual è il contributo della famiglia e degli infermieri nella gestione della MRC?
  2. La presente revisione si propone di:
    (i) Mappare le evidenze sugli approcci integrati volti a migliorare il self-care e la QoL nei bambini, negli adolescenti con MRC e nei loro familiari e descriverne le caratteristiche generali;
    (ii) identificare gli strumenti utilizzati per valutare la QoL nella MRC in età pediatrica e nei familiari;
    (iii) identificare il contributo della famiglia e degli infermieri nella gestione della MRC.

METODI

Questa scoping review ha utilizzato la metodologia Joanna Briggs Institute (JBI). In linea con il framework Popolazione, Concetto, e Contesto (PCC) (9), la popolazione esplorata era costituita da pazienti pediatrici e adolescenti affetti da MRC; i concetti indagati erano il self-care e la QoL; per quanto riguarda il contesto, non sono state applicate restrizione specifiche.

Sono stati inclusi studi che comprendevano pazienti di età 7-18 anni con MRC e studi primari, qualitativi, quantitativi o misti in lingua inglese o traducibili attraverso il software HTML. Sono stati esclusi gli studi non accessibili nonostante il supporto di una Biblioteca Biomedica.

La ricerca è stata condotta su 4 database: PubMed (Medline), APA PsicInfo, CINAHL Database EBSCO e Embase. Per garantire inclusività l’analisi della letteratura grigia è stata condotta attraverso la consultazione di Google Scholar, siti web, libri e atti congressuali. I records sono stati gestiti tramite EndNote20 e Rayyan Software (10), con analisi finale attraverso Microsoft Excel (Ciabilli, 2021).

I records sono stati importati in EndNote 20 per la deduplicazione, poi gestiti tramite Rayyan e Microsoft Excel. La selezione è avvenuta in tre fasi condotte da tre revisori; eventuali discrepanze sono state risolte con il coinvolgimento di un quarto revisore per garantire trasparenza del processo di selezione. La prima fase comprendeva la selezione dei records per titolo e abstract, e l’esclusione di quelli non conformi al framework PCC. Nella seconda fase si è proceduto al recupero dei full-text tramite ricerche su internet ed i servizi bibliotecari universitari. Nell’ultima fase, un’analisi approfondita ha portato alla selezione finale degli studi idonei. Tutto il processo di selezione è stato adeguatamente documentato mediante l’utilizzo di un diagramma di flusso come suggerito dalle linee guida PRISMA ScR (11).

L’estrazione dei dati è stata condotta utilizzando uno strumento progettato dal team di ricerca per sintetizzare le seguenti informazioni: autori, paese, anno, obiettivo, campione, design, interventi educativi, strumenti e risultati. È stata utilizzata anche la “template for intervention description and replication” (TIDieR)(12), per valutare la qualità delle descrizioni degli interventi nelle pubblicazioni scientifiche.


RISULTATI

Selezione delle risorse incluse

La strategia di ricerca ha identificato 2266 record totali di cui 24 rispondenti alle domande di ricerca della revisione (Figura 1).

Caratteristiche generali delle fonti di evidenza

Sono stati inclusi un totale di 24  studi pubblicati tra il 1989 e il 2024, provenienti da diversi parti del mondo. In Europa sono stati identificati quattro studi, due distribuiti nei Paesi Bassi, uno in Turchia e uno in Grecia. In Oceania, due studi provenivano dall’Australia e uno dalla Nuova Zelanda. In Asia, sono stati inclusi due studi dalla Cina, uno dalla Corea del Sud, uno dall’Iran e uno dall’Arabia Saudita. In America, sei studi provenivano dagli Stati Uniti, quattro dal Brasile e due dal Canada (Tabella 1).

Approcci integrati adottati per migliorare il self-care e la qualità della vita

Diversi studi evidenziano l’efficacia degli approcci educativi personalizzati nel migliorare la qualità della vita (QoL) e le competenze di self-care nei bambini e adolescenti con MRC (13-15). In particolare, lo sviluppo di conoscenze nutrizionali e di “health literacy” ha portato a miglioramenti significativi (6); (16–18). L’adozione di strategie come la gestione attiva della malattia e l’adattamento scolastico ha favorito uno stile di vita più sano (19). Le comunità virtuali rappresentano un ulteriore supporto emotivo e relazionale (20). L’adattamento del linguaggio educativo all’età del paziente migliora l’engagement e riduce l’ansia (13). Il terapista occupazionale favorisce l’autonomia nelle attività quotidiane (21), mentre le amicizie rappresentano uno spazio sicuro per esprimere emozioni (15).

Strumenti di valutazione della qualità della vita

La valutazione della QoL nei bambini e adolescenti con MRC richiede strumenti specifici e multidimensionali. Il KIDSCREEN-52 misura benessere fisico e psicologico, relazioni familiari e ambiente scolastico, mostrando differenze tra bambini e adolescenti (22). Il “PedsQL-TM” indaga immagine corporea ed emozioni, il Brief IPQ le percezioni cognitive della malattia, e la BMQ le credenze sui farmaci, tutte correlate negativamente a una visione minacciosa della patologia (23). Il “PedsQL ESRD Module” permette confronti tra trattamenti, mostrando una QoL migliore nei trapiantati rispetto ai dializzati (24). Gli indici HUI2/3 evidenziano che i trapiantati si percepiscono in buone condizioni generali (25). Le “PROMIS pediatric measures” mostrano invece una QoL più compromessa nei bambini con malattia attiva (26).

Contributo della famiglia e degli infermieri nella gestione della MRC

La famiglia rappresenta un supporto essenziale, favorendo comunicazione e gestione quotidiana (15). È importante valorizzare la percezione diretta del bambino, spesso più positiva rispetto a quella dei genitori (27). Il coinvolgimento familiare è cruciale per il successo educativo e terapeutico. Gli infermieri giocano un ruolo chiave nel fornire educazione alla cura, gestione dei sintomi e supporto emotivo (14,28,29). Nei contesti complessi, si riscontrano alti livelli di stress genitoriale e basso supporto sociale (30) con ricadute sulla gestione. Il supporto psicosociale migliora l’autostima, l’indipendenza e le relazioni (31-33). Interventi mirati sono essenziali per il benessere familiare (34).


CONCLUSIONI

La gestione della MRC pediatrica richiede un approccio personalizzato, educativo e continuo. È essenziale integrare il supporto medico con quello emotivo e sociale. Gli infermieri hanno un ruolo centrale nella cura personalizzata e nell’educazione del Self Care, che deve coinvolgere anche la famiglia per promuovere autonomia, responsabilità condivisa e miglior qualità della vita.

Figura 1: PRISMA ScR Flowchart

 

Tabella 1: Caratteristiche degli studi inclusi


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  1. Romagnani P, Remuzzi G, Glassock R, Levin A, Jager KJ, Tonelli M, et al. Chronic kidney disease. Nat Rev Dis Primers. 23 novembre 2017;3(1):1–24.
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Poster025_ID16_EFFETTI DI UN PERCORSO EDUCATIVO SULLA QUALITÀ DI VITA DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO AD EMODIALISI: uno studio osservazionale



EFFETTI DI UN PERCORSO EDUCATIVO SULLA QUALITÀ DI VITA DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO AD EMODIALISI:
uno studio osservazionale


Martina Riet1, Michela Ippolito2, Paolo Ferrara3, Lea Godino4, Elisa La Malfa5,
Mauro Parozzi5, Stefano Terzoni6

1 U.O. Chirurgia toracica, Istituto Europeo di Oncologia, Milano
2 U.O. Dialisi, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano
3 Corso di Laurea in Infermieristica, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano
4 Unità di Genetica Medica, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna
5 Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma
6 Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università degli Studi di Milano


INTRODUZIONE

È noto come nei percorsi pre-dialitici e dialitici la compliance del paziente a modificare la propria dieta (e, di conseguenza, il proprio stile di vita) non sia sempre ottimale1; modifiche ricorrenti e restrizioni alimentari portano spesso il paziente a trascurare quello che è un aspetto terapeutico fondamentale e che incide in tutto e per tutto sulle sue condizioni di salute e di vita. L’educazione terapeutica del paziente in ambito dialitico, finalizzata a incentivare l’adesione a specifici regimi dietetici2,3 e pratiche di self-care, assume dunque un ruolo fondamentale nell’evitare complicanze anche gravi (es: edemi con fovea, complicanze cardiovascolari e respiratorie, edema polmonare, limitazioni delle attività quotidiane per affaticamento, mobilità difficoltosa)3,4,5. L’implementazione di interventi mirati di educazione terapeutica da parte infermieristica riveste pertanto un ruolo di apicale importanza strategica per migliorare non solo la vita del paziente ma anche gli esiti clinici.


MATERIALI E METODI

È stato svolto uno studio osservazionale per valutare l’efficacia di un programma di educazione terapeutica implementato da un’azienda sanitaria lombarda, mirato a migliorare l’aderenza terapeutica e dietetica nei pazienti in emodialisi analizzandone i cambiamenti nella qualità di vita prima e dopo il percorso educativo a conduzione infermieristica.

Il programma di educazione terapeutica a gestione infermieristica implementato dall’azienda prevedeva due fasi distinte:

  • in una prima fase è stato consegnato ai pazienti sottoposti a dialisi ed ai loro caregiver un opuscolo con finalità educative. Il contenuto dell’opuscolo, infatti, forniva consigli e indicazioni pratiche, utili a gestire le modificazioni dietetiche che il regime di dialisi comporta.
  • In una seconda fase, a distanza di un mese dalla consegna dell’opuscolo e per la durata di un mese, durante le sedute dialitiche il personale infermieristico effettuava interventi di formazione frontale, coinvolgendo il paziente con esempi pratici che spaziavano dalle metodologie di cottura alternative finalizzate alla diminuzione degli introiti di acqua all’utilizzo di accorgimenti o ricette specifiche per eliminare alcuni alimenti, come il sale.

La raccolta dati si è avvalsa dell’utilizzo di due questionari validati presenti in letteratura: l’SF-12 (Short-Form-12-health-survey questionnaire) ed il QAF (Questionario sull’Adesione alla terapia Farmacologica e dietetica). Tali strumenti sono stati somministrati prima ed a distanza di tre mesi dal termine del programma di educazione terapeutica a conduzione infermieristica.


RISULTATI

Hanno partecipato allo studio n.79 pazienti di cui 42 hanno completato entrambe le fasi del programma educativo. L’età media si è attestata attorno ai 75 anni. La distribuzione non normale dei dati relativi al tempo da cui i pazienti fossero sottoposti a regime dialitico (Shapiro-Wilk < 0.05) ha mostrato un intervallo di tempo mediano di 32 mesi con IQR [8; 68]. Il 72,2% dei pazienti (n.57) è risultato essere iperteso mentre il 35,4% dei pazienti (n.28) è risultato affetto da diabete.

Analizzando le risposte del QAF somministrato prima dell’intervento educativo, sono state rilevate alcune criticità concernenti la consapevolezza di dover ridurre l’introito di liquidi giornalieri, del potassio e del fosforo che sono contenuti principalmente in frutta e verdura. Inoltre, molti pazienti hanno dichiarato di non assumere correttamente la terapia farmacologica perché non percepiscono reali benefici e spesso smettono di assumerla per gli effetti collaterali che insorgono.

Stante la differenza campionaria fra le due rilevazioni, le differenze fra i gruppi sono state sottoposte al test U di Mann-Whiteney sia per singolo item che punteggio complessivo. Come riportato in Figura 1, le differenze di punteggio del questionario SF12 si sono attestate come globalmente significative (p <0.001, r = 0.6468) e nello specifico, sono state riscontrate differenze riferite nella capacità fisica (item 2 e 3, p <0.01), una riduzione delle limitazioni funzionali (p<001) con un aumento percepito delle energie disponibili (item 10, p<0.01) e dello stato della propria salute, percepita a livello generale (item 1, p=0.02). Al questionario QAF, per quanto globalmente non significativo, è stato rilevato un miglioramento significativo nei comportamenti alimentari (item 2, 3, 7, p<0.03) e sull’aderenza dietetica (item 10, 11 e 12, p<0.009). Anche l’adesione alla terapia farmacologica sembra migliorare: la percezione del carico terapeutico migliora (item 15, p<0.001) e migliora l’aderenza terapeutica (item 5, p<0.001). Visti i risultati, è stata effettuata un’analisi di regressione lineare inserendo gli item della scala QAF come possibili covariate del punteggio complessivo SF-12, andando a valutare se la qualità di vita legata alla salute potesse dipendere in questi frangenti dai comportamenti alimentari e di aderenza terapeutica. Il modello è risultato statisticamente significativo (F(20, 100) = 9.17, p<0.001) con un coefficiente di determinazione R²=0.647, indicando che circa il 64.7% della varianza del punteggio sulla qualità della vita percepita è spiegata dalle variabili incluse nel modello, attestandosi su valori indiscutibilmente buoni. I risultati «post» intervento di educazione terapeutica sono risultati associati significativamente al punteggio SF-12 (β = 3.70, p < .001), suggerendo un effetto positivo dell’intervento di educazione terapeutica effettuato dagli infermieri.

Figura 1. Differenze di punteggio complessivo SF-12


CONCLUSIONI

I risultati positivi di questo studio rimarcano la significatività del ruolo dell’infermiere nel contesto dell’educazione terapeutica al paziente in dialisi. I miglioramenti significativi nei comportamenti alimentari e nell’aderenza dietetica e farmacologica sembrerebbero incidere con altrettanta significatività sulla qualità di vita del paziente e sulle sue condizioni cliniche.

Al fine di incrementare ulteriormente il miglioramento degli outcomes, potrebbe essere auspicabile il coinvolgimento di ulteriori specialisti in modo da enfatizzare le sinergie interprofessionali in funzione della qualità di vita del paziente.


POSTER


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Poster025_ID15_TO CURE E TO CARE: la Relazione d’Aiuto nel Percorso verso il Trapianto



TO CURE E TO CARE:
la Relazione d’Aiuto nel Percorso verso il Trapianto


Roberta Mingolla, Isabella Marchese, Silvia Ambrosio.

Centro Dialisi Presidio CTO – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
Dipartimento di MEDICINA GENERALE E SPECIALISTICA – Direttore Prof. Ezio GHIGO
S.C. NEFROLOGIA, DIALISI E TRAPIANTO U – Direttore Prof. Luigi BIANCONE – DIALISI CTO


INTRODUZIONE

Nella lingua inglese, i termini “To Cure” e “To Care” assumono significati distinti, sebbene possano sembrare simili. “To Cure” comprende una serie di azioni e interventi mirati alla risoluzione del disturbo o della malattia. In questa prospettiva, l’obiettivo della cura è ripristinare nel paziente lo stato di salute precedente alla patologia o migliorare significativamente le condizioni attuali. La medicina, tramite terapie specifiche, si occupa strettamente di questo aspetto. “To Care” riguarda l’attenzione globale al paziente, è un approccio che va oltre l’aspetto tecnico della cura, comprendendo il supporto emotivo e psicologico.

Il pensiero scientifico post-cartesiano ha concepito principalmente gli esseri viventi come complessi di organi, portando alla separazione tra mente e corpo. Così l’individuo (etimologicamente inteso come “in-dividuo”, cioè indivisibile) è stato frammentato e l’area di interesse si è focalizzata esclusivamente sul corpo.

L’evoluzione storica della figura del curante riflette un cambiamento profondo: man mano che la scienza ha affinato le sue conoscenze e gli strumenti per la ‘cura’, si è progressivamente affievolito il legame umano tra curante e paziente, un legame che trovava la sua massima espressione nell’anamnesi – ovvero nella narrazione soggettiva del disturbo. Questo momento di ascolto e condivisione, un tempo centrale, può essere considerato a tutti gli effetti come la più potente forma di placebo, capace di attivare risorse profonde e processi di “autoguarigione”.

La medicina è diventata sempre più capace di guarire, ma meno capace di prendersi cura del paziente, soprattutto di quello cronico, che ha bisogno di un rapporto di piena fiducia con l’equipe curante. Nell’iter verso il trapianto, è fondamentale integrare entrambi gli approcci per una gestione efficiente e umanizzata della patologia.

Secondo la Professoressa americana Jean Watson, l’ambiente fa la differenza.

Per Watson, l’ambiente non è solo quello fisico, ma rappresenta l’infermiere stesso: l’infermiere ambiente.

La relazione tra infermiere e paziente è essenziale affinché l’assistito non perda mai di vista la propria umanità. Alla fine degli anni 70, Watson ha creato la teoria dello Human Caring,che si basa sul prendersi cura degli esseri umani e sull’offrire assistenza infermieristica.

In questo contesto, il ruolo dell’infermiere assume un’importanza fondamentale.

Come indicato dal Codice Deontologico (art.4 nuovo codice 2025): l’infermiere cura creando con le persone una relazione, in cui l’empatia è una componente fondamentale, l’infermiere ha il dovere di agire nel massimo interesse del paziente, mettendo in atto tutte le tecniche e le competenze acquisite, comprese quelle comunicative, relazionali e psicologiche.

L’obiettivo è fornire un’assistenza globale e personalizzata, capace di rispondere non solo ai bisogni fisici, ma anche a quelli emotivi, sociali e spirituali della persona assistita.

La medicina moderna si trova oggi in una fase cruciale, tra i risultati straordinari della scienza e il crescente bisogno di umanità. È fondamentale coltivare le relazioni interpersonali e l’empatia, competenze che la tecnologia, inclusa l’intelligenza artificiale, non è ancora in grado di replicare.

Nonostante i progressi dell’intelligenza artificiale, le relazioni umane rimangono un pilastro insostituibile. La capacità di comprendere le emozioni altrui, offrire supporto sincero, leggere il linguaggio del corpo o cogliere sfumature emotive è qualcosa che solo l’essere umano può fare in modo autentico. Paradossalmente, più la tecnologia avanza, più competenze come empatia, ascolto attivo e intelligenza emotiva diventano centrali nel mondo del lavoro e nella vita sociale.

Sono “soft skills” che fanno la differenza e che nessuna macchina potrà mai imitare fino in fondo.

Fin dall’epoca di Ippocrate, si riconosce nella pratica medica una doppia dimensione: to cure, cioè curare la malattia, e to care, ovvero prendersi cura della persona. Due approcci che non si escludono, ma si completano. Il primo riguarda la tecnica e la diagnosi; il secondo, l’ascolto, la relazione e la comprensione del vissuto del paziente.

To Cure e To Care: scienza e umanità nella stessa direzione

To cure è il dominio della medicina scientifica, fatta di protocolli, esami, farmaci e interventi chirurgici. Ma senza la componente del to care, il rischio è che il paziente venga trattato solo come un “caso clinico”. To care significa invece entrare in relazione, accogliere la sofferenza anche nei suoi aspetti invisibili: paura, smarrimento, senso di impotenza. Significa restituire al paziente un ruolo attivo e responsabile, rendendolo protagonista del suo percorso di cura.

Oggi, grazie alla diffusione della medicina narrativa, della medicina integrata e della crescente attenzione alla relazione terapeutica, si cerca di colmare il divario tra questi due mondi. Emerge con forza la consapevolezza che prendersi cura della persona, e non solo della patologia, può migliorare l’efficacia stessa delle terapie.

Il caso clinico: superare il blocco con la comunicazione ipnotica

L’esperienza qui sotto riportata è frutto dell’esperienza diretta di chi sta scrivendo

Una paziente in dialisi, che aveva iniziato l’iter per l’ingresso in lista attiva per il trapianto, si trovava bloccata in un punto cruciale: non riusciva a completare le cure odontoiatriche richieste.

Le infermiere dell’ambulatorio Ma.Re.A. (Malattia Renale Avanzata) le propongono delle sedute di comunicazione ipnotica per affrontare la paura del dolore, lei accetta subito.

Le sedute le programmiamo insieme, fuori dalla dialisi, iniziano con un colloquio informale che porta alla luce un disagio ben più profondo.

Le viene chiesto che cosa vuol dire per lei la parola TRAPIANTO, le parole emerse sono state:

  • “Il trapianto è per me un tunnel dove non vedo la luce.”
  • “Non mi sono sentita parte attiva del progetto.”
  • “Non mi sono sentita ascoltata.”
  • “Ho paura del dolore.”

La paziente si sentiva esclusa dal percorso, non compresa, sopraffatta da un processo che viveva come imposto e oscuro. Il trapianto non era per lei una speranza, ma una minaccia.

Il potere trasformativo della comunicazione ipnotica

La comunicazione ipnotica ha permesso di lavorare su più livelli: cognitivo, emotivo e simbolico. Si è agito sul rafforzamento dell’identità e della motivazione, riformulando le credenze limitanti e restituendo alla paziente il senso di controllo sul proprio percorso.

Attraverso visualizzazioni guidate, linguaggio positivo e suggestioni personalizzate, si sono introdotti nuovi significati:

  • “Tu puoi farcela, perché hai già affrontato prove difficili.”
  • “Il dolore può essere affrontato e compreso, non solo temuto.”
  • “Ora sei tu a poter riaccendere la luce in questo tunnel, hai la possibilità di personalizzarlo, colorarlo e renderlo migliore per te.”

I colloqui successivi con il nefrologo, si sono svolti in mia presenza, e in accordo con il curante è stata utilizzata una comunicazione positiva, che riprendesse le parole che lei mi aveva detto.

Nel giro di due mesi, la paziente ha completato con serenità tutte le cure odontoiatriche ed è stata inserita in lista, dieci mesi dopo ha ricevuto il trapianto.

Il passaggio da un atteggiamento passivo e bloccato a una posizione attiva e fiduciosa è stato

possibile grazie alla sinergia tra to cure e to care.

Riflessioni finali

Questo caso dimostra come l’integrazione tra approccio medico-scientifico e strumenti relazionali e comunicativi sia oggi una via necessaria. La comunicazione ipnotica, lungi dall’essere una tecnica alternativa, si pone come complemento potente al percorso clinico. Quando la persona si sente ascoltata, compresa e coinvolta, anche le terapie più complesse diventano affrontabili.


CONCLUSIONE

Spesso il tempo dedicato all’ascolto del paziente è ciò che permette di cogliere segnali nascosti, ansie, paure o sintomi sfumati che nessun esame strumentale può rilevare. L’ascolto empatico è uno strumento diagnostico tanto quanto lo stetoscopio.

La fiducia tra Infermiere e paziente e medico e paziente non è un lusso, ma una componente attiva del processo di guarigione. Quando il paziente si sente accolto, compreso, coinvolto, la sua adesione alla terapia migliora, così come i suoi esiti clinici.

Accanto alla preparazione scientifica, è sempre più evidente la necessità di formare i professionisti della salute anche sotto il profilo umano: etica, psicologia, comunicazione, filosofia sono strumenti indispensabili nella “cassetta degli attrezzi” di infermieri e medici.

La lezione di Ippocrate risuona ancora oggi con straordinaria attualità: la cura efficace unisce conoscenza e umanità. To cure guarisce il corpo; to care sostiene l’anima. Solo insieme possono rendere davvero possibile la guarigione. In questo equilibrio si apre la medicina del futuro: una medicina che cura e si prende cura, con scienza, empatia e ascolto.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

Poster025_ID14_CONTROLLO E GESTIONE DEGLI ACCESSI VASCOLARI PER ACUTI: Ruolo dell’Infermiere



CONTROLLO E GESTIONE DEGLI ACCESSI VASCOLARI PER ACUTI:
Ruolo dell’Infermiere


Gigliello M1., Garcia A.M.2, Maggi S.2, Fariello A.R.2, Modica C.2, Granados A.2, Mendini A.2, Santoro M.T.2

1 Asl Salerno, DS 69- ODC, Salerno
2 Asl Roma 2, Ospedale Sandro Pertini, Nefrologia e Dialisi, Roma


INTRODUZIONE

L’accesso vascolare è fondamentale per un’emodialisi (HD) efficace, poiché senza un accesso ben funzionante il trattamento non è possibile (Cobo-sanchez et al.,2023). È certamente noto, che gli accessi vascolari attualmente a disposizione sono la fistola arterovenosa e il catetere venoso centrale. Sebbene il confezionamento di una fistola artero-venosa nativa (AVF) sia la forma preferita di accesso permanente, i cateteri venosi centrali (CVC) rimangono l’accesso iniziale per la maggior parte dei pazienti in emodialisi ( Haniel J et al.,2021). Il registro ERA EDTA del 2014 riporta che circa il 70-80% dei pazienti incidenti hanno iniziato il trattamento dialitico in urgenza con un catetere venoso centrale (Nozordij et al.,2014). Lo stesso documento ERA-EDTA del 2021 identificava circa 76.000 nuovi pazienti che iniziavano un trattamento dialitico, ovvero un’incidenza di 145 persone per milione di popolazione, valore nettamente superiore rispetto al 2020 dove l’incidenza era di 128 persone per milione di popolazione (Brittany AB Et al.,2024). Secondo la “National Kidney Foundation” nel 2021 oltre l’85% delle persone che hanno iniziato il trattamento emodialitico lo hanno fatto con un catetere venoso centrale. Inoltre, quasi tre quarti dei soggetti non avevano un accesso definitivo in atto quando hanno iniziato l’emodialisi, un aumento sorprendente rispetto a circa il 65% nel 2018 (Saran R et al., 2020). Da tali numeri si può ben capire che negli ultimi anni il numero di pazienti che necessitano di un trattamento dialitico (in situazioni di urgenza) è nettamente aumentato e questo è dovuto a diversi fattori: età avanzata, diabete mellito, malattie cardiovascolari. Di conseguenza è aumentato l’impegno dell’infermiere nel ridurre le potenziali complicanze legate al device (complicanze infettive, trombotiche, malfunzionamento) per garantire l’efficienza e l’efficacia del trattamento emodialitico.


OBIETTIVO DELLO STUDIO

Gli obiettivi dello studio in oggetto sono stati essenzialmente due:

–    Osservare la frequenza e la tipologia delle complicanze del CVC per emodialisi posizionato in urgenza;

–    Creare un supporto informatico che possa essere di ausilio ai professionisti sanitari nella gestione del device e nella prevenzione delle complicanze.


METODOLOGIA

È stato condotto uno studio osservazionale all’interno del reparto di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Sandro Pertini di Roma. È stato considerato un arco temporale di 12 mesi (maggio 2023-maggio 2024), durante il quale sono stati osservati 106 pazienti ricoverati in urgenza e che hanno effettuato la loro prima seduta emodialitica e seguiti per un follow-up di un mese. A tutti i pazienti presenti nello studio è stato posizionato un CVC short-term. Il device utilizzato per lo studio è stato un dispositivo in Carbothane, un polimero altamente biocompatibile molto simile al poliuretano con una lunghezza variabile tra i 13 ai 24 cm in base alla sede d’inserzione. I pazienti inclusi nello studio erano pazienti instabili giunti in pronto soccorso per effettuare la loro prima seduta dialitica per poi essere stabilizzati nei reparti di destinazione, oppure erano pazienti già presenti in ospedale che durante il ricovero ospedaliero hanno manifestato un peggioramento della funzionalità renale. I pazienti presenti nello studio avevano un’età media di 69,4 ±3,7 anni ed erano divisi in 59 maschi (56%) e 47 femmine (44%) (tabella 1). I 106 pazienti sono stati stabilizzati dopo la prima seduta dialitica nei rispettivi reparti di degenza: Nefrologia 60 pazienti, Medicina 20 pazienti, Pronto soccorso 12 pazienti, Rianimazione 6 pazienti, Chirurgia generale 5 pazienti, UTIC 3 pazienti. Una volta stabilizzati, tali pazienti sono stati seguiti per circa 30 giorni (tabella 1). Il CVC è stato posizionato nella vena femorale in 61 (57,5 %) pazienti inclusi nello studio mentre nei rimanenti 45 (42,5%) è stato posizionato un CVC giugulare.  49 CVC (46,2 %) sono stati posizionati in radiologia interventistica, 32 (30,2%) in nefrologia, 14 (13,2%) in sala operatoria, 8 (7,5%) in Pronto soccorso, 3 (2,8%) in altri reparti (tabella 1). In tutti i pazienti inclusi nello studio la disinfezione dell’exit-site è avvenuta con clorexidina al 2%, nessun paziente è risultato allergico o intollerante alla Clorexidina. Per la chiusura del lock è stata utilizzata l’eparina sodica. Le medicazioni utilizzate sono state le garze sterili combinate con cerotto in TNT e le medicazioni avanzate trasparenti con retina antiaderente a base di Argento.

Numero totale dei pazienti: 106 Reparto di ricovero: sede di posizionamento del CVC: Reparto di posizionamento del CVC:
Pazienti maschi 59 Nefrologia 60 Vena femorale 61 Radiologia interventistica 49
Pazienti femmine 47 Medicina 20 Vena giugulare 45 Nefrologia 32
Pronto soccorso 12 Sala operatoria 14
Rianimazione 6 Pronto soccorso 8
Chirurgia Generale 5 Altri reparti 3
UTIC 3

Tabella 1 distribuzione dei pazienti e dei relativi device.

 

Inoltre, è stata sviluppata una piattaforma informatizzata denominata “Scheda valutazione CVC short-term” compilabile al letto del paziente attraverso un tablet, un pc portatile o uno smartphone e composta da due parti. La prima presenta una sezione anamnestica (immagine 1), data di nascita, il sesso, il codice del paziente, le comorbidità, il livello di igiene, lo stato cognitivo, e tutte le caratteristiche relative al device, sito di posizionamento, timing, lunghezza, materiale. La seconda parte viene compilata ad ogni seduta emodialitica (immagine 2): regime di asepsi dell’exit-site, il Visual exit score (VES) che ci consente di valutare la presenza di infiammazione, iperemia, fibrina intorno all’exit site; complicanze precoci (come sanguinamenti, ematomi ecc.), il malfunzionamento del device e se presente su quale lume, la chiusura del lock del device, le complicanze tardive.  Grazie a questo score è possibile monitorare in tempo reale le complicanze complessive dei device.

Immagine 1: Prima parte scheda valutazione CVC short- term, sezione anamnestica.

Immagine 2: seconda parte scheda valutazione CVC short- term, monitoraggio durante la seduta dialitica.

RISULTATI

Dai dati del follow up è emerso che in 27 pazienti il CVC short- term è stato sostituito con un CVC long -term (LT), così come ci mostra il grafico numero 1. Per 35 pazienti presenti nello studio è stata confezionata una FAV ed il device posizionato all’ingresso è stato poi rimosso. In 18 pazienti presenti nello studio si è verificata una ripresa della funzionalità renale, 19 pazienti sono deceduti e 10 pazienti sono stati dimessi o trasferiti in altri presidi ospedalieri. Dei 106 pazienti inclusi nello studio 36 (38,2%) hanno mostrato delle complicanze legate al device posizionato. Come è visibile dal grafico 2 la complicanza maggiore è stata il malfunzionamento del CVC che si è presentata in 18 pazienti (52,9%). Per malfunzionamento del CVC si è tenuto conto delle linee guida della “Canadian Society of Nephrology Clinical Practice Guidelines” dove per malfunzionamento  si intende l’impossibilità a mantenere un valore di flusso Sangue (QB) superiore o uguale a 200 mL/min. 7 pazienti su 36  (20,6%)hanno presentato invece un’infezione del CVC (secondo le linee guida K/DOQI si intende  per infezione del CVC la presenza dello stesso germe in emocolture provenienti da CVC e da vena periferica in un paziente sintomatico senza altre fonti apparenti di infezione). 4 (11,6%) pazienti hanno presentato una trombosi venosa profonda (TVP), la quale è stata valutata e diagnosticata attraverso le indagini strumentali, mentre 3 (8,8%) pazienti hanno presentato ematoma della gamba e 2 (5,8%) pazienti sanguinamento dell’exit site. I CVC short- term posizionati all’ingresso sono rimasti in sede in media 17,8 giorni. La maggior parte dei malfunzionamenti del CVC si sono riscontrati su CVC femorali (68,4%); Le complicanze  infettive del CVC si sono presentate in media nella decima giornata dopo il posizionamento del device; le infezioni del CVC si sono presentate per il 57% su CVC femorale mentre il 43% su CVC giugulare; L’ematoma e la TVP si sono verificati prevalentemente su CVC femorali invece  sanguinamenti dell’exit- site si sono presentati su device giugulari.

Grafico 1: follow up dei pazienti

 

Grafico 2: Complicanze legate al posizionamento del CVC Short- term

 


DISCUSSIONE

L’utilizzo dei CVC per emodialisi in urgenza è gravato da un’elevata incidenza di complicanze. Un’ assistenza infermieristica adeguata unita alla pratica basata sull’evidenza è fondamentale per garantire un trattamento emodialitico efficiente, ma soprattutto per ridurre le varie complicanze legate al device.  Inoltre, la creazione di un supporto informatico potrebbe fornire le basi per identificare uno “score diagnostico” in grado non solo di monitorare tempestivamente le varie complicanze ma anche valutare il rischio di insorgenza delle stesse. Certamente sarebbe necessario effettuare uno studio più approfondito prendendo in considerazione una popolazione più ampia. Il limite principale dello studio in oggetto, infatti, è il numero esiguo dei pazienti osservati. Bisognerebbe prendere in considerazione molti più pazienti, includendo magari diversi centri di studio, per un periodo più lungo. È opportuno, inoltre, introdurre la scheda informatizzata all’interno della pratica clinica e verificare la sua complessiva efficacia nel prevenire e controllare le varie complicanze che potrebbero instaurarsi.


CONCLUSIONI

Dai risultati ottenuti da questo breve studio deduciamo che il malfunzionamento e le infezioni del CVC sono le complicanze che si instaurano con maggior frequenza. Sicuramente il CVC giugulare è risultato essere migliore rispetto al CVC femorale e quindi  il suo impianto è da preferirsi rispetto al CVC femorale in termini di funzionamento, prevenzione delle infezioni e TVP. Siamo certi che la scheda valutazione CVC Short-term potrà essere un valido supporto per l’assistenza infermieristica in quanto ci permetterà di poter attivare i necessari correttivi per la salute del paziente, l’ottimizzazione del lavoro e la gestione delle risorse.

Considerazioni etiche

Tutte le procedure dello studio sono state effettuate in accordo con gli standard etici dell’ “Institutional  Research Committee” e con la dichiarazione di Helsinky (1964) e i suoi successivi emendamenti o norme etiche comparabili.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  • Cobo-Sánchez J.L., Blanco-Mavillard I., Mancebo-Salas N. et al. Early identification of local infections in central venous catheters for hemodialysis: A systematic review. Journal of Infection and Public Health 16 (2023) 1023–1032.
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  • Brittany A Boerstra, Rianne Boenink, Megan E Astley, Marjolein Bonthuis, Samar Abd ElHafeez, Federico Arribas Monzón, Anders Åsberg, Pazit Beckerman, Samira Bell, Aleix Cases Amenós, Pablo Castro de la Nuez, Marc A G J ten Dam, Alicja Debska-Slizien, Nikola Gjorgjievski, Rebecca Guidotti, Jaakko Helve, Kristine Hommel, Alma Idrizi, Ólafur S Indriðason, Faiçal Jarraya, Julia Kerschbaum, Kirill S Komissarov, Nadiia Kozliuk, Milica Kravljaca, Mathilde Lassalle, Johan M De Meester, Mai Ots-Rosenberg, Zoe Plummer, Danilo Radunovic, Olena Razvazhaieva, Halima Resic, Olga Lucía Rodríguez Arévalo, Carmen Santiuste de Pablos, Nurhan Seyahi, María Fernanda Slon-Roblero, Maria Stendahl, Miloreta Tolaj-Avdiu, Sara Trujillo-Alemán, Ieva Ziedina, Edita Ziginskiene, Alberto Ortiz, Kitty J Jager, Vianda S Stel, Anneke Kramer, The ERA Registry Annual Report 2021: a summary, Clinical Kidney Journal, Volume 17, Issue 2, February 2024, sfad281, https://doi.org/10.1093/ckj/sfad281
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Poster025_ID13_GENERAZIONI INFERMIERISTICHE A CONFRONTO IN AMBITO NEFROLOGICO: uno studio trasversale



GENERAZIONI INFERMIERISTICHE A CONFRONTO IN AMBITO NEFROLOGICO:
uno studio trasversale


Lea Godino1, Elisa La Malfa2, Mattia Ricco3, Domenica Gazineo4.

1 Medical Genetics Unit, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Bologna, Italy;
2 Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università di Parma;
3 Department of Medical and Surgical Sciences, University of Bologna, Bologna, Italy;
4 Governo Clinico e Qualità, IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Bologna, Italy


INTRODUZIONE

Il concetto di generazione è stato introdotto da Mannheim (1952), secondo cui l’identità generazionale nasce da eventi storici condivisi. Strauss e Howe (1991) hanno ampliato tale visione definendo le generazioni come gruppi nati in intervalli di circa vent’anni, accomunati da esperienze formative che influenzano atteggiamenti professionali e stili di leadership (Stevanin et al., 2018). Tuttavia, la teoria generazionale è stata criticata per la vaghezza dei confini tra coorti e l’eccessiva generalizzazione (Gordon, 2017; Pew Research Center, 2019).

Altri autori, come Costanza et al. (2012), evidenziano che le differenze rilevanti emergono più tra individui in fasi di vita diverse che tra generazioni, suggerendo confronti tra pari età per evitare distorsioni interpretative (Pew Research Center, 2019; Strauss & Howe, 1991).

In Italia, l’innalzamento dell’età pensionabile ha aumentato la permanenza nel lavoro, specialmente nel settore sanitario, dove l’età media è di 50 anni (Ministero della Salute, 2021). Infermieri della Generazione X e dei Millennials, pur con lunga esperienza, sono superati numericamente dai Baby Boomers. Questa coesistenza solleva sfide nella trasmissione delle competenze, aggravate da differenze nei linguaggi, negli approcci lavorativi e nell’uso delle tecnologie.

La situazione è resa critica anche dalla carenza strutturale di personale: il numero di infermieri in Italia è inferiore del 25% rispetto alla media europea e i nuovi ingressi sono in calo dal 2014 (Commissione Europea, 2023). Attualmente, solo il 6,11% degli infermieri ha meno di 29 anni, mentre il 39% ha tra 50 e 59 anni. Si stima che 52.000 infermieri andranno in pensione entro il 2025 (Quotidiano Sanità), con un grave rischio di perdita di know-how e discontinuità assistenziale.

Nel contesto della nefrologia, ambito in cui l’assistenza richiede competenze altamente specialistiche, l’infermiere svolge un ruolo chiave nella gestione di pazienti con patologie renali, incluse dialisi, trapianto e cure conservative (Pegoraro et al., 2014). Le riforme del 1975, 1992 e 2001 (De Caro, 2019) hanno ridefinito il ruolo infermieristico, promuovendo formazione avanzata anche in ambito gestionale e didattico. Tuttavia, le differenze generazionali possono compromettere la coesione dei team, influenzando il benessere degli operatori e l’efficacia assistenziale.


OBIETTIVO

Questo studio si propone di valutare e confrontare le caratteristiche generazionali degli infermieri italiani operanti in ambito nefrologico con particolare attenzione alle dinamiche intergenerazionali e alle implicazioni sulla pratica clinica.


METODOLOGIA

Disegno dello studio

È stato condotto uno studio osservazionale trasversale tramite un questionario online.

Popolazione

Lo studio era rivolto a infermieri e infermiere italiani. I criteri di inclusione erano: età compresa tra 21 e 67 anni, iscrizione all’OPI (Ordine Professioni Infermieristiche) ed esercizio della professione sul territorio nazionale. Sono stati esclusi studenti e pensionati. La partecipazione era volontaria e subordinata al consenso informato.

Procedura e campionamento

Il reclutamento, avvenuto tra febbraio 2023 e febbraio 2024, è stato effettuato tramite mailing list della Società Infermieri Area Nefrologica (SIAN) e diffusione social (Facebook, Instagram), con invito a coinvolgere altri colleghi dell’ambito nefrologico.

Strumento

È stato utilizzato il Multidimensional Nursing Generations Questionnaire (MNGQ), questionario tradotto e validato in lingua italiana (Stevanin et al., 2018, 2019), composto da 48 item a risposta Likert (5 punti).

Analisi dei dati

I dati, raccolti in forma anonima, sono stati analizzati con SPSS v.28 tramite statistiche descrittive e inferenziali: ANOVA con test post-hoc di Bonferroni, chi-quadro di Pearson e test esatto di Fisher. Le coorti generazionali sono state definite secondo il Pew Research Center (2019): Veterani, Baby Boomers, Generazione X, Millennials, Generazione Z. È stata condotta un’analisi per cluster per esplorare differenze nelle aree chiave indagate.

Aspetti etici

Lo studio ha ricevuto l’approvazione etica dal Comitato di Bioetica dell’Università di Bologna (n. 0245799).


RISULTATI

Il campione dello studio era composto da 520 infermieri italiani attivi in ambito nefrologico. La maggioranza apparteneva alla Generazione Y (Millennials, 55,6%), seguita dalla Generazione X (38,5%) e dai Baby Boomers (6%). La quasi totalità dei partecipanti (90%) era impegnata in attività clinico-assistenziali, mentre solo una piccola parte svolgeva ruoli gestionali (9%) o formativi (1%). In termini di collocazione lavorativa, il 77% operava in servizi di emodialisi, il 12% in reparti di nefrologia, il 10% in dialisi peritoneale e l’1% in ambito territoriale.

L’analisi delle differenze generazionali ha evidenziato dati significativi in più dimensioni del questionario. Per quanto riguarda i conflitti intergenerazionali, i Millennials hanno riportato punteggi significativamente più elevati (M = 23.95, DS = 6.97) rispetto alla Generazione X (M = 20.46, DS = 7.05) e ai Baby Boomers (M = 19.45, DS = 8.39), con una differenza statisticamente significativa (p < 0.001). Questo risultato suggerisce una maggiore percezione di tensioni relazionali da parte dei professionisti più giovani. In merito alla sicurezza del paziente, i Baby Boomers hanno registrato i punteggi più alti (M = 23.93, DS = 3.29), seguiti dalla Generazione X (M = 24.12, DS = 3.67), mentre i Millennials hanno riportato il punteggio medio più basso (M = 22.87, DS = 4.45). La differenza tra i Millennials e i Baby Boomers è risultata significativa (p = 0.003), indicando una percezione più positiva della sicurezza da parte delle generazioni senior. Relativamente alle sfide relazionali tra generazioni, la Generazione Y ha ottenuto il punteggio medio più alto (M = 15.07, DS = 6.19), seguito dalla Generazione X (M = 10.34, DS = 4.63) e dai Baby Boomers (M = 9.87, DS = 4.83), con differenze significative tra le generazioni (p < 0.001). Ciò evidenzia una maggiore difficoltà nei rapporti intergenerazionali percepita dai più giovani. Per quanto riguarda la dimensione del lavoro di squadra in contesti multigenerazionali, non sono emerse differenze statisticamente significative tra le coorti (p = 0.199), nonostante i Baby Boomers abbiano riportato punteggi leggermente superiori. L’adattabilità al cambiamento ha evidenziato punteggi più alti nei Millennials (M = 15.50, DS = 3.05), rispetto alla Generazione X (M = 13.95, DS = 3.14) e ai Baby Boomers (M = 14.12, DS = 2.66). Anche in questo caso le differenze sono risultate significative (p < 0.001), suggerendo una maggiore apertura al cambiamento tra i professionisti più giovani. Infine, nella dimensione della propensione e disponibilità al lavoro, i Baby Boomers hanno riportato i valori più bassi (M = 14.22, DS = 3.93), rispetto alla Generazione X (M = 16.77, DS = 3.80) e alla Generazione Y (M = 16.21, DS = 3.83), con differenze significative (p < 0.001), a favore delle generazioni più giovani.


CONCLUSIONI

I risultati evidenziano la presenza di differenze generazionali significative tra gli infermieri italiani operanti in ambito nefrologico, in particolare rispetto a conflittualità percepite, sicurezza del paziente, adattabilità e disponibilità al lavoro. Queste differenze riflettono l’evoluzione della formazione infermieristica in Italia, passata da un modello prevalentemente pratico a uno accademico, e i cambiamenti nei valori professionali associati a ciascuna coorte.

In questo scenario, le generazioni più giovani si distinguono per una maggiore apertura al cambiamento e per una formazione più orientata all’evidence-based practice, mentre i professionisti senior offrono un contributo esperienziale fondamentale, soprattutto nei contesti clinici complessi come la nefrologia.

Promuovere un dialogo intergenerazionale efficace e valorizzare le competenze specifiche di ogni gruppo è essenziale per garantire coesione nei team, continuità assistenziale e qualità della cura. Programmi di mentorship, formazione continua e valorizzazione delle competenze possono favorire un’integrazione costruttiva tra generazioni, rafforzando la resilienza del sistema sanitario e la soddisfazione professionale degli infermieri.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  • Costanza D.P., Badger J.M., Fraser R.L., Severt J.B., Gade P.A. Generational differences in work-related attitudes: A meta-analysis. Journal of Business and Psychology, 27, 2012, pp.375–394
  • De Caro W. (2019) Competenze Infermieristiche avanzate: se non ora quando. Professioni Infermieristiche; 72.30.
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  • Quotidiano Sanità. (2022). Conferenza Nazionale Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie. Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie: Dati sull’accesso ai corsi e programmazione dei posti nell’ A.A. 2022-23. Retrieved July 14, 2023, from https://www.sanita24.ilsole24ore.com /pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANO_SANITA/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/2022/11/15/Mastrillo_buono_report_prof_2022.pdf
  • Stevanin S., Bressan V., Vehviläinen-Julkunen K., Pagani L., Poletti P., Kvist T. The Multidimensional Nursing Generations Questionnaire: Development, reliability, and validity assessments. J Nurs Manag, 25 (4), 2018, pp.287-296.
  • Strauss W., Howe N. (1991) Generations: The History of America’s Future 1584 to 2069. William Morrow and Company Inc, HarperCollins, New York.

Poster025_ID12_LA CONSAPEVOLEZZA DELLA RESTRIZIONE DIETETICA NEI PAZIENTI IN DIALISI



LA CONSAPEVOLEZZA DELLA RESTRIZIONE DIETETICA NEI PAZIENTI IN DIALISI


Pasquale Pellicanò, Maurizio Cozzupoli, Beatrice Montalto, Antonino Caserta, Angelo Romeo, Alessandra Bova, Antonia Putortì, Caterina Tringali, Girolama Neri, Stefania Camera.

U.O.C. Nefrologia, Dialisi abilitata al Trapianto di Rene del Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli, Reggio Calabria.


OBIETTIVO

È noto che la consapevolezza ha un ruolo di fondamentale importanza nell’aderenza ad una specifica prescrizione terapeutica e potenzialmente può impattare positivamente sugli outcomes clinici.


MATERIALI E METODI

In 314 pazienti in dialisi [92 in dialisi peritoneale (PD) e 222 in emodialisi (HD) età media 63±16 anni e 67±13 anni, rispettivamente] abbiamo valutato la consapevolezza di vari aspetti inerenti il trattamento dialitico e le prescrizioni dietetiche come l’adeguatezza dialitica, l’introito di acqua, sale, fosforo e potassio tramite un semplice questionario che includeva 9 domande. L’Età dialitica mediana era di 23 mesi in PD e 55 mesi in HD.


RISULTATI

La proporzione di pazienti non consapevoli, in PD e in HD per le 9 domande del questionario, erano: 36% e 17% (P<0.001) per l’adeguatezza dialitica, 29% e 19% (P=0.05) per eventuali limiti nell’assunzione giornaliera di acqua,  29% e 6% (P<0.001) per la quantità di acqua giornaliera, 4% e 3% (P=0.60) per gli effetti dell’elevato introito di sodio, 16% e 12% (P=0.33) per la quantità di sodio giornaliero, 26% e 11% (P=0.002) per gli effetti dell’elevato introito di fosforo, 11% e 15% (P=0.30) per i cibi contenenti elevate quantità di fosforo, 13% e 27% (P=0.01) per gli effetti dell’elevato introito di potassio, e 20% e 27% (P=0.19) per i cibi ad elevato contenuto di potassio. Gli Odds della non consapevolezza dei pazienti in HD erano significativamente più bassi rispetto ai pazienti in dialisi peritoneale in merito all’adeguatezza dialitica, intake di acqua e fosforo e significativamente più alti per l’intake di potassio. I risultati non cambiavano dopo aggiustamento per età, sesso ed età dialitica (Figura 1).


Figura 1.


CONCLUSIONI

I risultati di questo studio indicano che re-training focalizzati a migliorare la consapevolezza dei pazienti in dialisi sono necessari. Nei pazienti in HD la consapevolezza dell’adeguatezza dialitica, dell’0introito di acqua e di fosforo sono significativamente più elevati rispetto ai pazienti in DP. I pazienti in DP hanno invece una migliore consapevolezza in merito all’intake giornaliero di potassio. Studi di cohorte mirati a valutare se la consapevolezza di per se può essere un fattore di rischio indipendente nella popolazione dialitica potrà chiarire le implicazioni cliniche di questi risultati.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  1. Kanagarajah Saumiya, Velraja Supriya, Arambakkam Hemamalini Janardhanan. Knowledge, Attitude, and Practices of Renal Diets among Hemodialysis Patients. Biomedical and Biotechnology Research Journal (BBRJ) 6(1):p 86-92, Jan–Mar 2022. | DOI: 10.4103/bbrj.bbrj_200_21.
  2. Yuan Peng, Qin Huang, Yan Yu, Linfang Zhu, Huaihong Yuan. Knowledge, attitude, and practice toward nutrition support and management among hemodialysis patients. Scientific Reports (2024) 14:21825.
  3. Zhiqian Chen, Na Xu, Xinxin Chen, Xiaoyu Zhang, Shuqing Yin, Guanghui Xiao, Li Luo, Qun Liu and Chunyan Su. Dietary knowledge-attitude-practice status in hemodialysis patients: a latent profile analysis. BMC Public Health (2024) 24:836 https://doi.org/10.1186/s12889-024-18066-z.

Poster025_ID11_SOMMINISTRAZIONE DELLA VANCOMICINA IN EMODIALISI



SOMMINISTRAZIONE DELLA VANCOMICINA IN EMODIALISI


Rozella Fabonan¹, Marinella Talaia ², Elena Boaglio ², Daniela Ariganello ², Marina Correndo ², Rosa Coggiola², Francesca Campanelli ², Filippo Genuario ², Claudio Ponte ², Vanda Saggiorato², Katia Avanzi ², Sebastiano Capozzo ², Jana Sestak ², Barbara Cascino ², Gabriella Colombotto ², Laura Onnis ².

Istituto/Ente di Appartenenza:
¹ Azienda Sanitaria Locale di Collegno e Pinerolo, Centro Dialisi di Pinerolo,
² Città della Salute e della Scienza di Torino, S.C.U. Nefrologia Dialisi Trapianti, CAL ed Emodialisi Domiciliare S.Vito


INTRODUZIONE:

La vancomicina continua a essere l’antibiotico più frequentemente prescritto nei pazienti con Insufficienza Renale sottoposti a emodialisi a causa dell’elevata prevalenza di infezioni da Staphylococcus aureus meticillino-resistente(1). Presso il Centro di Emodialisi CAL S.Vito,Città della Salute e della Scienza di Torino, è nato l’interesse dall’equipe medico-infermieristico di uniformare la gestione della Vancomicina in emodialisi, dovuto alla mancanza di standardizzazione e protocolli.


METODOLOGIA

La vancomicina continua a essere l’antibiotico più frequentemente prescritto nei pazienti con Insufficienza Renale sottoposti a emodialisi a causa dell’elevata prevalenza di infezioni da Staphylococcus aureus meticillino-resistente(1). Presso il Centro di Emodialisi CAL S.Vito,Città della Salute e della Scienza di Torino, è nato l’interesse dall’equipe medico-infermieristico di uniformare la gestione della Vancomicina in emodialisi, dovuto alla mancanza di standardizzazione e protocolli.


RISULTATI

La diluizione varia in base al tipo di accesso. Se infuso in Catetere Venoso Centrale: soluzione fisiologica NaCl 0.9% 100 ml per 500 mg di Vancomicina, se indicato dallo stato di sovraccarico, può essere ridotta la diluizione fino a 50 ml di NaCl 0.9%, e 100 ml per 1000 mg(5). Se infuso in Fistola Artero Venosa, NaCL 0.9% 250 ml per 1000 mg,100 ml per 500 mg(5).La velocità di infusione deve rispettare i seguenti criteri:10 mg/min.Se trattamento Emodialisi: somministrazione entro l’ultima ora, poichè il farmaco non viene dializzato(5). Se trattamento Emodiafiltrazione, Emodiafiltrazione con reinfusione endogena: somministrazione dopo la seduta dialitica, poichè il farmaco viene dializzato. Se trattamento in Acetate-Free Biofiltration si consiglia la somministrazione dell’antibiotico l’ultima mezz’ora dalla fine e mezz’ora dopo.


CONCLUSIONI

La creazione dell’ istruzione operativa ha prodotto un modello molto esplicativo che potrebbe essere allargata ai vari centri dialisi della stessa Azienda Sanitaria.


Obiettivi

La Vancomicina continua ad essere l’antibiotico prescritto più frequentemente nei pazienti con malattia renale cronica (MRC) sottoposti a emodialisi a causa dell’elevata prevalenza di infezioni da Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) (1,2). Nonostante decenni di esperienza clinica e prestazioni di routine del monitoraggio della concentrazione sierica terapeutica dei farmaci (TDM), il dosaggio della Vancomicina nei pazienti sottoposti a emodialisi rimane una questione aperta, anche in relazione alla metodica che il paziente utilizza.. I dati limitati e le corrispondenti raccomandazioni nelle linee guida del 2009 relative al dosaggio e al monitoraggio della Vancomicina nei pazienti in emodialisi hanno portato ad una mancanza di standardizzazione dei protocolli di dosaggio dell’antibiotico nei centri di dialisi. In effetti, non è raro che i regimi di dosaggio della Vancomicina vengano prescritti sulla base delle preferenze e dell’esperienza dei singoli medici. Di conseguenza, nei pazienti in emodialisi è stata utilizzata un’ampia gamma di regimi di dosaggio della Vancomicina con diversi approcci TDM e infusione di farmaci (3) ed esiste un rischio di fallimento terapeutico, tossicità e resistenza ai farmaci quando vengono prescritti regimi di dosaggio subottimali.

In particolare, presso il nostro servizio Centro di Assisenza Limitata (CAL) S.Vito, la somministrazione di Vancomicina viene utilizzata occasionalmente e l’interesse è nato dall’equipe medico-infermieristica per uniformare la gestione del farmaco.

Otre al corretto dosaggio, è importante che l’antibiotico venga somministrato nel modo e nei tempi corretti nei diversi trattamenti dialitici.


Ambito di applicazione

Città della Salute e della Scienza di Torino, S.C.U. Nefrologia Dialisi Trapianti, CAL ed Emodialisi Domiciliare S.Vito.

Scopo di questo documento è offrire ai professionisti e agli operatori sanitari informazioni sui comportamenti da adottare in condizioni di presunta o confermata infezione dell’accesso per emodialisi, al fine di sottoporre il paziente a terapia adeguata ed efficace riducendo il rischio di creazione di resistenza batterica.

Il presente documento fornisce indicazioni limitatamente alla somministrazione di Vancomicina durante l’emodialisi nei vari trattamenti e accessi venosi, non esclude l’autonomia e la responsabilità decisionale dei singoli professionisti sanitari e presuppone la corretta esecuzione dei singoli atti nella specifica competenza dei professionisti.

Per quanto riguarda la preparazione del farmaco si seguono le indicazioni dell’ AIFA:

  • Da un punto di vista microbiologico la soluzione per infusione preparata deve essere usata immediatamente. Se non utilizzata immediatamente, le condizioni e il periodo di conservazione durante l’uso sono responsabilità dell’utilizzatore. Normalmente il periodo di conservazione non dovrebbe superare le 24 ore tra 2°e -8° C.
  • Per Vancomicina 500 mg: sciogliere il contenuto di una fiala in 10ml di acqua per preparazioni iniettabili
  • Per Vancomicina 1000 mg: sciogliere il contenuto di un flaconcino in 20 ml di acqua per preparazione iniettabili
  • Un ml di soluzione ricostituita contiene 50 mg di vancomicina

 

Il dosaggio dell’Antibiotico è di competenza medica che, in base ai valori di Vancomicina dosata, prescriverà il dosaggio per la dialisi successiva (4). Il prelievo viene effettuato prima di iniziare la seduta emodialitica (6) e oltre al peso attuale e non quello ideale, il medico deciderà il dosaggio adeguato.

Il dosaggio di carico corrisponde a 1000 mg (5).

Per i pazienti obesi può essere incrementata la dose iniziale fino a 1500 mg se peso> 100 Kg.

Recenti studi (5) raccomandano un livello di concentrazione ematico di Vancomicina tra i 15-20mg/L che corrisponde a un target di 400-600 di farmacocinetica.

La diluizione, come si nota dal diagramma di flusso al punto 3.2, varia in base al tipo di accesso.

Attività 1

Preparazione materiale I° scenario CVC:

  • vancomicina
  • soluzione fisiologica NaCl 0.9% 100 ml per 500 mg di Vancomicina, se indicato dallo stato di sovraccarico, può essere ridotta la diluizione fino a 50 ml di NaCl 0.9%, e 100 ml per 1000 mg (7)
  • 1 o 2 fiala di acqua per preparazione iniettalibile ppi
  • 1 o 2 siringhe da 10ml
  • 1 ago 18 gauge
  • 1 pompa infusionale
  • 1 deflussore da pompa
  • 1 telino


Preparazione materiale II° scenario FAV:

  • vancomicina
  • NaCL 0.9% 250 ml per 1000 mg, 100 ml per 500 mg (7)
  • 1 o 2 fiala di acqua per preparazione iniettalibile ppi
  • 1 o 2 siringhe da 10ml
  • 1 ago 18 gauge
  • 1 pompa infusionale
  • 1 deflussore da pompa
  • 1 telino


Preparazione operatore:

  • lavaggio sociale delle mani con clorexidina idroalcolica al 2%
  • guanti

Preparazione ambiente:

Predisporre un piano di lavoro pulito e ben illuminato, o utlizzare il banco preparazione terapia endovena ev


Somministrazione

La velocità di infusione della Vancomicina (7) deve rispettare i seguenti criteri: 10 mg/min

  • Vancomicina 1000 mg infuso in 1h e 40 minuti
  • Vancomicina 500 mg infuso in 50 minuti

Per entrambi gli scenari CVC e FAV:

  • Trattamento HD: somministrazione entro l’ultima ora, poichè il farmaco non viene dializzato (5)
  • Trattamento HDF, Emodiafiltrazine con reinfusione endogena: somministrazione dopo la seduta dialitica, poichè il farmaco viene dializzato
  • In alternativa si potrà modificare la metodica in HD, previo consenso medico, per ottimizzare i tempi di infusione del farmaco, allo scopo di migliorare l’aspetto organizzativo e gestionale del paziente
  • Trattamento in AFB, difficilmente si può passare durante la dialisi in HD, il medico consiglia la somministrazione dell’antibiotico l’ultima mezz’ora dalla fine e mezz’ora dopo.

I trattamenti di emodialisi continua, come CVVHD, CVVHDF E CRRT, non vengono contemplate poichè non sono utilizzate presso questo centro.

Per l’infusione di Vancomicina si ulizzano, presso il nostro centro, pompe infusionali, e di seguito lo schema espilcativo per il tipo di dosaggio:

SCHEMA POSOLOGICO CVC

Vancomicina

Nacl 0.9%

velocità mg/min

velocita ml/h

1000 mg

100 ml

10 mg/min

60 ml/h

500 mg

50 ml

10 mg/min

61 ml/h

POSOLOGICO FAV

Vanco

Nacl 0.9%

velocita mg/min

velocita ml/h

1000 mg

250 ml

10 mg/min

150 ml/h

500 mg

100 ml

10 mg/min

120 ml/h


3.4 Responsabilità

Il medico è responsabile della prescrizione farmacologica e l’infermiere è responsabile della preparazione e somministrazione del farmaco, facendo attenzione alle regole delle 7 G:

  • Giusto paziente
  • Giusto Farmaco
  • Giusta Dose
  • Giusta via di somministrazione
  • Giusto orario
  • Giusta registrazione
  • Giusto approccio con paziente

Inoltre prima della somministrazione , le soluzioni ricostituite e diluite devono essere ispezionate visivamente per rilevare particelle e variazioni di colore. si devono utilizzare soltanto  soluzioni trasparenti, incolori e prive di particelle visibili sospese.


POSTER


3.5 Bibliografia, Fonti e Riferimenti

  1. Snyder GM, Patel PR, Kallen AJ, Strom JA, Tucker JK, D’Agata EM: Antimicrobial use in outpatient hemodialysis units. Infect Control Hosp Epidemiol 34: 349–357, 2013. 10.1086/669869
  2. Centers for Disease Control and Prevention (CDC): Staphylococcus aureus resistant to vancomycin—United States, 2002. MMWR Morb Mortal Wkly Rep 51: 565–567, 200212139181
  3. Rybak MJ, Le J, Lodise TP, Levine DP, Bradley JS, Liu C, Mueller BA, Pai MP, Wong-Beringer A, Rotschafer JC, Rodvold KA, Maples HD, Lomaestro BM: Therapeutic monitoring of vancomycin for serious methicillin-resistant staphylococcus aureus infections: A revised consensus guideline and review by the American Society of Health-System Pharmacists, the Infectious Diseases Society of America, the Pediatric Infectious Diseases Society, and the Society of Infectious Diseases Pharmacists. Am J Health Syst Pharm 77: 835–864, 2020. 10.1093/ajhp/zxaa036
  4. Pai   AB , Pai MP. Vancomycin dosing in high flux hemodialysis: a limited-sampling algorithm. Am J Health-Syst Pharm.2004; 61(17):1812-1816
  5. New Vancomycin Dosing Guidelines for Hemodialysis Patients: Rationale, Caveats, and Limitations Susan J. Lewis1 and Thomas D. Nolin2 KIDNEY360 2: 1313–1315, 2021
  6. Therapeutic monitoring of vancomycin for serious methicillin-resistant Staphylococcus aureus infections: A revised consensus guideline and review by the American Society of Health-System Pharmacists, the Infectious Diseases Society of America, the Pediatric Infectious Diseases Society, and the Society of Infectious Diseases Pharmacists. Michael J Rybak, PharmD, MPH, PhD, FCCP, FIDP, FIDSA, Jennifer Le, PharmD, MAS, FIDSA, FCCP, FCSHP, BCPS-AQ ID, Thomas P Lodise, PharmD, PhD, Donald P Levine, MD, FACP, FIDSA, John S Bradley, MD, JSB, FIDSA, FAAP, FPIDS, Catherine Liu, MD, FIDSA, Bruce A Mueller, PharmD, FCCP, FASN, FNKF, Manjunath P Pai, PharmD, FCCP, Annie Wong-Beringer, PharmD, FCCP, FIDSA, John C Rotschafer, PharmD, FCCP American Journal of Health-System Pharmacy, Volume 77, Issue 11, 1 June 2020, Pages 835–864
  7. The Renal Drug Handbook: The Ultimate Prescribing Guide for Renal Practitioners, 5th Edition page 1047, 1048

Poster025_ID09_SURVEY: PERCHÉ NON HO SCELTO LA DIALISI PERITONEALE? Un’analisi delle barriere alla scelta terapeutica nei pazienti in emodialisi



SURVEY: PERCHÉ NON HO SCELTO LA DIALISI PERITONEALE?
Un’analisi delle barriere alla scelta terapeutica nei pazienti in emodialisi


Cinzia Aldrigo¹, Erminia Garritano¹, Michela Ippolito².

¹ U.O. di Dialisi, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano, Italia;
² Coordinatrice Infermieristica, U.O. di Dialisi, ASST Santi Paolo e Carlo, Milano, Italia.


INTRODUZIONE:

La dialisi peritoneale (DP) rappresenta un’opzione terapeutica valida e spesso vantaggiosa per molti pazienti con insufficienza renale terminale, ma, nonostante ciò, un numero significativo di pazienti non viene trattato con questa modalità. Questa survey si propone di esplorare le motivazioni, le percezioni e le barriere che impediscono l’adozione della dialisi peritoneale, analizzando il ruolo della comunicazione.

Una survey condotta su un campione di pazienti affetti da insufficienza renale cronica in emodialisi, emergono fattori decisionali cruciali, come la mancanza di informazioni adeguate, la percezione della dialisi peritoneale come modalità meno sicura rispetto alla dialisi emodialitica, le difficoltà pratiche legate alla gestione domiciliare e la preferenza per un trattamento più “passivo” come l’emodialisi.


METODOLOGIA:

La dialisi peritoneale (DP) rappresenta un’opzione terapeutica valida e spesso vantaggiosa per molti pazienti con insufficienza renale terminale, ma, nonostante ciò, un numero significativo di pazienti non viene trattato con questa modalità. Questa survey si propone di esplorare le motivazioni, le percezioni e le barriere che impediscono l’adozione della dialisi peritoneale, analizzando il ruolo della comunicazione.

Una survey condotta su un campione di pazienti affetti da insufficienza renale cronica in emodialisi, emergono fattori decisionali cruciali, come la mancanza di informazioni adeguate, la percezione della dialisi peritoneale come modalità meno sicura rispetto alla dialisi emodialitica, le difficoltà pratiche legate alla gestione domiciliare e la preferenza per un trattamento più “passivo” come l’emodialisi.


RISULTATI:

Ecco una tabella riassuntiva che mostra la distribuzione per età e sesso, con le percentuali relative all’interno di ciascun gruppo:


Tabella Riassuntiva
distribuzione per età e sesso, con percentuali di ciascun gruppo:

Fascia di Età Maschi Femmine Totale Percentuale Maschi (%) Percentuale Femmine (%)
18-30 anni 1 3 4 25% 75%
31-50 anni 5 4 9 55,56% 44,44%
51-70 anni 14 6 20 70% 30%
71+ anni 15 7 22 68,18% 31,82%
Totale 35 20 55 63,64% 36.36%


Tabella
Riassuntiva con Percentuali sui motivi di rifiuto:

Motivo di Rifiuto Frequenza Percentuale sul Totale (%)
Problemi di spazio/logistica 9 16,36%
Problemi fisici 8 14,55%
Rifiuto personale 10 18,18%
Non idoneità 9 16,36%
Motivi pratici/difficoltà 6 10,91%
Mai proposta dai medici 7 12,73%
Altri motivi 6 10,91%

Sintesi:

  • Motivo più comune: Il rifiuto personale (18.18%), che include la scelta di non voler fare la dialisi peritoneale per motivi vari.
  • Problemi di spazio/logistica e Non idoneità si piazzano tra i motivi più frequenti (entrambi al 16.36%).
  • Le difficoltà fisiche e problemi pratici nella gestione sono anch’essi motivi rilevanti, ma meno frequenti.

Tabella Riassuntiva con Percentuali da chi ha ricevuto informazioni:

Fonte di Informazione Frequenza Percentuale sul Totale (%)
Medico 19 34,55%
Infermiere 5 9,09%
Conoscenze personali 8 14,55%
Altro (fonti diverse) 6 10,91%
Mai ricevute informazioni 17 30,91%

Sintesi:

  • Fonte principale di informazioni: Il medico è la fonte principale di informazioni sulla dialisi peritoneale, con il 34.55% del campione che ha ricevuto informazioni da un medico.
  • Un numero significativo di persone (30.91%) non ha ricevuto alcuna informazione sulla dialisi peritoneale.
  • Conoscenze personali rappresentano il 14.55% del campione, suggerendo che alcuni hanno appreso della dialisi peritoneale attraverso amici, parenti o altre persone con esperienza.
  • Fonti come infermiere e altre fonti sono meno frequenti, ma comunque presenti (9.09% e 10.91% rispettivamente).

CONCLUSIONI:

Dall’analisi delle risposte emerse dalla domanda “Perché non ha scelto la dialisi peritoneale?”, possiamo osservare che i motivi del rifiuto alla dialisi peritoneale sono principalmente legati a fattori fisici, pratici e personali. Le motivazioni più comuni includono difficoltà logistiche, come la mancanza di spazio adatto in casa o l’ambiente non idoneo per la dialisi (16.36%), seguite dalla paura o rifiuto personale (18.18%) e dalle difficoltà fisiche, come la non idoneità fisica o precedenti interventi chirurgici (14.55%). Un numero consistente di pazienti ha anche riferito che non gli è stata mai proposta la dialisi peritoneale (12.73%) o che sono stati considerati non idonei dai medici (16.36%).

Analizzando le fonti di informazione sulla dialisi peritoneale, emerge che la maggior parte dei pazienti ha ricevuto queste informazioni dal medico curante (34.55%), mentre una percentuale significativa ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna informazione (30.91%). Le conoscenze personali e le fonti alternative (come infermieri e altre persone) sono state meno frequenti, suggerendo che il percorso informativo potrebbe non essere stato uniforme tra i pazienti.

Il Rifiuto come Possibile Problema di Comunicazione?
Il rifiuto alla dialisi peritoneale non sembra essere esclusivamente un problema di comunicazione, ma piuttosto un insieme di fattori pratici, fisici e psicologici. Sebbene la maggior parte dei pazienti abbia ricevuto informazioni dai medici, un numero significativo di pazienti non ha mai ricevuto una proposta concreta di dialisi peritoneale, indicando una possibile lacuna nella comunicazione o nella proposta terapeutica da parte dei professionisti sanitari. Inoltre, alcune risposte suggeriscono che la paura personale, la mancanza di spazio e la non idoneità fisica sono state barriere significative, che potrebbero essere state meglio gestite con una comunicazione più chiara e una consulenza mirata sulle opzioni terapeutiche disponibili.

In conclusione, sebbene la comunicazione svolga un ruolo importante nella decisione del paziente, il rifiuto alla dialisi peritoneale appare essere principalmente legato a fattori pratici e individuali piuttosto che a una carenza informativa. Tuttavia, migliorare la comunicazione e la discussione delle alternative terapeutiche potrebbe favorire scelte più consapevoli e personalizzate, soprattutto per coloro che non hanno ricevuto informazioni adeguate o che non sono stati correttamente valutati per la dialisi peritoneale.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  • Cancarini, G., Santarelli, S., Vizzardi, V., Amici, G., Alberghini, E., Russo, R., Neri, L., Dattolo, P., Maggiore, U., Mandreoli, M., Mariano, F., & Bianchi, S. Governo clinico in nefrologia: organizzazione e sviluppo della dialisi peritoneale. G Ital Nefrol 2024 – ISSN 1724-5990 – © 2024 Società Italiana di Nefrologia – Anno 41 Volume 5
  • Murray, P. T., & Popp, J. (2017). Peritoneal Dialysis: Evolution, Applications, and Future Perspectives. American Journal of Kidney Diseases, 69(4), 507-515.
  • Stucchi, L., & Cozzi, G. (2014). È possibile ridurre i pazienti in emodialisi? Le alternative. Congresso della Sezione Lombarda della Società Italiana di Nefrologia.
  • Twardowski, Z. J., & Daugirdas, J. T. (2022). Peritoneal Dialysis in Practice: Techniques and Methods. Springer.