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Poster025_ID08_VISSUTI DEL PAZIENTE POST TRAPIANTO RENALE: influenza della percezione di salute sull’adesione alla terapia



VISSUTI DEL PAZIENTE POST TRAPIANTO RENALE:
influenza della percezione di salute sull’adesione alla terapia


Helena Latronico1 , Daniele Curci1, Giorgio Soragna2 , Valerio Dimonte3 , Aspasia Panunzi2, Gianfranca Gerbino2, Massimo Nallino2.

1 Università degli Studi di Torino – Corso di Laurea in Infermieristica
2 SC Nefrologia e Dialisi AO Ospedale Mauriziano, Torino
3 Presidente del Corso di Laurea in Infermieristica, Università degli Studi di Torino


INTRODUZIONE:

Il trapianto renale è una grande conquista della medicina moderna e rappresenta una possibilità concreta per ripristinare le funzioni renali nei pazienti affetti da insufficienza renale irreversibile (IRC), condizione in cui la funzione renale si deteriora progressivamente fino a rendere il rene incapace di mantenere l’equilibrio idrico ed elettrolitico dell’organismo.

Attualmente, il trapianto, è considerato un’attività di routine grazie alle conoscenze inerenti alla risposta immunitaria a livello molecolare e, nello specifico, possiamo sicuramente intendere il trapianto renale come la modalità terapeutica ottimale perché è in grado di offrire, rispetto ad un’altra tipologia di trattamento rappresentata dalla dialisi, un’aspettativa di vita molto più lunga [1], migliore ripresa e riabilitazione [2] e, soprattutto, migliore qualità di vita per il paziente stesso [3] [4].

Il trapianto renale ha anche un impatto sociosanitario significativo, rappresentando una soluzione economicamente più vantaggiosa rispetto ai trattamenti di dialisi a lungo termine e alla gestione farmacologica delle complicanze dell’insufficienza renale cronica terminale [5]; il trapianto rappresenta infatti un investimento assolutamente vantaggioso per i sistemi sanitari: sebbene i costi iniziali dell’intervento e della terapia immunosoppressiva possano essere effettivamente elevati, nel lungo termine, il trapianto comporta minori costi complessivi rispetto alla dialisi, che richiede ingenti risorse per mantenere un ciclo di trattamenti continuo e costante [5].

Il costo medio complessivo di un paziente trapiantato per il Sistema Sanitario Nazionale è di 95.247 euro in un periodo di tre anni, contro i 123.081 euro stimati nello stesso arco di tempo per un paziente non trapiantato e sottoposto a dialisi. Il costo del trapianto è quindi inferiore del 29,2% [5].

Il successo del trapianto, però, non si limita alla buona riuscita dell’intervento, ma richiede una gestione continua e multidisciplinare per assicurare che il rene trapiantato funzioni adeguatamente e richiede un impegno a lungo termine soprattutto da parte del paziente nell’ambito dell’aderenza alla terapia immunosoppressiva.

La frequenza delle visite di follow-up varia in base alla fase post-trapianto: nei primi mesi, gli incontri ambulatoriali per il prelievo di sangue sono molto ravvicinati (settimanali o bisettimanali), ma possono poi ridursi gradualmente a controlli mensili o trimestrali, in base alla stabilizzazione clinica del paziente e al tempo trascorso dal trapianto.

In queste circostanze, il supporto infermieristico, una gestione ambulatoriale strutturata e l’educazione del paziente assumono un ruolo cruciale nel monitoraggio e riconoscimento dei segnali precoci delle complicanze, nell’accettazione e l’adesione al regime terapeutico e nel mantenimento di uno stile di vita salutare che possa ridurre al minimo i rischi migliorando al tempo stesso l’out-come del trapianto e il benessere psicologico del paziente [6], che si sente seguito e supportato nel suo percorso di recupero in quella che è a tutti gli effetti una ‘nuova vita’.

Le percezioni della malattia consistono in cause percepite, conseguenze, identità della stessa, durata, risposta emotiva, capacità di curarla e controllarla. I pazienti generano obiettivi per far fronte alla minaccia verso la loro stessa salute e/o alle emozioni associate. Le azioni sono intraprese per ridurre la minaccia stessa e le valutazioni in corso valutano l’efficacia della risposta e alimentano le rappresentazioni successive in un processo che definiamo iterativo [6]. Una percezione negativa produce una più lenta remissione, un peggior stato funzionale ed una peggiore qualità di vita.

Quando si parla di malattia, si considera spesso un aspetto particolare della qualità della vita, ovvero quella legata alla salute (Health-related quality of life, HRQoL) che viene studiato attraverso lo studio dei domini fisici, mentali e sociali del paziente. È un concetto fortemente influenzato dalle esperienze uniche di ogni paziente e, soprattutto, da come gli effetti della patologia e delle sue terapie si ripercuotono sulla sua routine e sul benessere complessivo. La valutazione della qualità della vita è uno degli indicatori chiave per monitorare le strategie di coping acquisite dal paziente trapiantato e/o dalla coppia donatore-ricevente. [7]

Le metanalisi di tutti i tipi di trapianto di organi solidi riportano un tasso di non aderenza del 22,6% alla terapia immunosoppressiva. I tassi di non aderenza variavano in base al tipo di trapianto, con i tassi più alti osservati per i trapianti di rene (36%) e il più basso per i trapianti di fegato (6%) [8].


METODOLOGIA DELLA RICERCA

L’obiettivo dello studio è indagare il rapporto tra percezione della malattia e aderenza terapeutica analizzando al tempo stesso l’aderenza auto riferita per eventuali bias di autovalutazione.

Lo studio è stato condotto su 45 pazienti trapiantati presso l’Ospedale Mauriziano

di Torino. Sono stati adottati i seguenti criteri

di inclusione:

  • età maggiore di 18 anni (la percezione di salute e l’aderenza alla terapia possono variare tra adulti e bambini/adolescenti);
  • pazienti sottoposti al trapianto da almeno 6 mesi (periodo sufficiente a sperimentare la nuova condizione e stabilire un regime terapeutico ottimale);
  • trapianto funzionante;
  • pazienti che hanno accettato di compilare il questionario (consenso informato).

Tra i criteri di esclusione ritroviamo:

  • altre condizioni mediche che potrebbero influenzare le risposte (disturbi psichiatrici o altre condizioni che potrebbero alterare la percezione della salute indipendentemente dal trapianto stesso);
  • barriera linguistica che comprometterebbe comprensione del questionario.

Il modulo utilizzato comprende una sezione iniziale dedicata all’informativa per il paziente e il relativo consenso, una parte introduttiva per la raccolta di dati personali ma non identificativi, in rispetto dell’anonimato, dati sulla malattia e

sul trattamento e infine una parte finale facoltativa per permettere al paziente di esprimere delle considerazioni finali (Tempo di lettura

e compilazione circa 10 minuti).

La somministrazione dei questionari è stata autorizzata, previa richiesta, dal Dipartimento delle Professioni Sanitarie (DIPSA) dell’Ospedale Mauriziano di Torino.

Per misurare l’aderenza è stato utilizzato il questionario BAASIS© (The Basel Assessment of Adherence to immunoSuppressive medIcations Scale) [9], che valuta la regolarità nell’assunzione dei farmaci, eventuali dosi saltate e rispetto degli orari. La percezione della malattia è stata invece misurata tramite il B-IPQ (Brief Illness Perception Questionnaire) [10], che esplora tramite 9 item le rappresentazioni soggettive della malattia. I dati raccolti sono stati analizzati attraverso il test R di Pearson per individuare correlazioni tra questi due aspetti (SPSS, versione 17).


RISULTATI

Caratteristiche sociodemografiche

Nella Tabella 1 vengono riportate le caratteristiche sociodemografiche dei 45 partecipanti.

VARIABILE Categorie N (%)
Genere Uomo 24 (53,3%)
  Donna 21 (46,7%)
Età 31-40 anni 6 (13,3%)
  41-50 anni 12 (26,7%)
  51-60 anni 18 (40%)
  > 60 anni 9 (20%)
Donatore Vivente 12 (26,7%)
  Deceduto 33 (73,3%)
Stato civile Celibe/nubile 8 (17,8%)
  Sposato/a convivente 28 (62,2%)
  Separato/a divorziato 5 (11,1%)
  Vedovo/a 4 (8,9%)
Istruzione Scuola primaria 1 (2,2%)
  Secondaria I grado 13 (23,9%)
  Secondaria II grado 25 (55,6%)
  Laurea 6 (13,3%)
Età trapianto Meno di 1 anno 10 (22,2%)
  1-2 anni 8 (17,8%)
  3-5 anni 9 (20%)
  6-10 anni 8 (17,8%)
  Più di 10 anni 10 (22,2%)

Tabella 1: caratteristiche sociodemografiche

Solo 1 paziente aveva ricevuto un precedente trapianto di rene, mentre 1 paziente ha ricevuto un trapianto combinato rene-pancreas. Per analizzare il tempo trascorso dal trapianto, i 45 questionari raccolti sono stati suddivisi in cinque gruppi temporali, al fine di ottenere una visione chiara della distribuzione dei pazienti in base alla loro esperienza post-trapianto. La suddivisione è stata effettuata nei seguenti intervalli riportati nella Tabella 1: meno di 1 anno, da 1 a 2 anni, da 3 a 5 anni, da 6 a 10 anni e più di 10 anni.

Aderenza

Una risposta affermativa nelle prime tre domande del questionario si traduce nell’assegnazione al gruppo “non aderente”. Questo punteggio è rigoroso a causa di un’ipotesi di sotto segnalazione della non aderenza [11]

e perché viene considerata veritiera l’informazione senza indagine aggiuntiva [10]. Le prime tre domande indagano i problemi di implementazione, mentre la quarta domanda esplora un eventuale problema di persistenza. Sulla base di questi criteri, 38 pazienti (84,4%) risultano non aderenti

a causa di un problema di “implementazione”.

1a. Si ricorda di aver saltato una dose della terapia immunosoppressiva nelle ultime 4 settimane?  19/45 (42,2%)
Una volta 5/19 (26,3%)
Due volte 9/19 (47,4%)
Tre volte 2/19 (10,5%)
Quattro volte 3/19 (15,8%)
1b. Si ricorda di aver saltato due o più dosi di fila nelle ultime 4 settimane?

3/45 (6,7%)

Una volta 3/3 (100%)
2a. Si ricorda di aver assunto la dose di farmaco più di due ore prima o dopo l’orario prescritto nelle ultime 4 settimane? 35/45 (77,8%)
Una volta 3/35 (8,6%)
2-3 volte 12/35 (34,3%)
4-5 volte 6/35 (17,1%)
Ogni 2-3 giorni 3/35 (8,6%)
Quasi ogni giorno 11/35 (31,4%)
3. Ha modificato in autonomia la quantità prescritta dei farmaci nelle ultime 4 settimane? 1/45 (2,2%)
4. Ha smesso in autonomia di prendere completamente la dose prescritta nelle ultime 4 settimane? 0/45 (0%)
5. Quanto ritiene di seguire correttamente la terapia prescritta? (0/100)
70-90% 5/45 (11,1%)
> 90% 18/45 (40%)
Assolutamente 100% 22/45 (48,9%)

Tabella 2; analisi aderenza

Non sono state riscontrate correlazioni statisticamente significative tra l’aderenza terapeutica e le singole caratteristiche sociodemografiche.

Percezione di Malattia

Nel campione di 45 pazienti, il 55,6% (25) ha mostrato una percezione bassa della minaccia (B-IPQ < 42), il 31,4% (14) moderata (B-IPQ 42–49) e solo il 13,3% (6) elevata (B-IPQ  ≥ 50).

È emersa una correlazione negativa tra punteggio B-IPQ e l’età (r = – 0,288; p = 0,045): i pazienti più giovani percepiscono la malattia come più minacciosa. Anche l’età del trapianto è inversamente correlata alla minaccia percepita (r = -0,358; p = 0,016): i pazienti recentemente trapiantati mostrano una percezione più intensa.

Il controllo percepito (Item 3) mostra una tendenza positiva verso l’aderenza (r = 0,218; p = 0,053).

La fiducia nel trattamento (Item 4) è in correlazione con l’età del paziente (r = 0,339; p = 0,023) e l’aderenza alla terapia (r = 0,312; p = 0,037): i pazienti più fiduciosi risultano anche più aderenti.

Gli effetti collaterali percepiti (Item 5) diminuiscono con l’aumentare degli anni trascorsi dal trapianto (r = – 0,486; p < 0,001).

Nel confronto delle medie dei punteggi tra pazienti aderenti e non aderenti, emergono differenze rilevanti in: fiducia nel trattamento (9,3 vs 7,6), aspettativa di durata del trapianto (8,4 vs 7,0), controllo sulla propria condizione (8,7 vs 7,5).

Infine, alla domanda sulle cause percepite di un rigetto, molti pazienti indicano fattori esterni (incompatibilità, funzionamento della terapia, stress) e, in particolare, il 28,9% non ha saputo identificare alcuna causa.


CONCLUSIONI

Lo studio conferma che la non aderenza terapeutica è un problema rilevante tra i pazienti trapiantati di rene, con l’84,4% dei partecipanti che ha riportato comportamenti non perfettamente aderenti. Il gruppo trapiantati da 3-5 anni, in particolare, registra il 100% di pazienti non aderenti. L’assenza di correlazioni significative con fattori sociodemografici suggerisce che l’aderenza dipende principalmente da aspetti legati alla percezione della malattia, alla fiducia nel trattamento e alla capacità di integrare la terapia nella propria quotidianità.

Un dato critico riguarda l’assunzione dei farmaci con variazioni orarie frequenti, spesso sottovalutate dai pazienti stessi, che dimostrano una consapevolezza parziale dell’impatto clinico di queste irregolarità; più della metà dei pazienti che ha dichiarato di aver modificato frequentemente l’orario di assunzione ritiene comunque di seguire la terapia al 100%, evidenziando anche un possibile bias di autovalutazione.

La percezione di minaccia è risultata associata a una maggiore esperienza di effetti collaterali, mentre la fiducia nel trattamento è correlata positivamente con l’aderenza terapeutica. I pazienti più consapevoli della gravità della propria condizione sembrano più fiduciosi e aderenti. Tuttavia, molti attribuiscono le cause di un eventuale rigetto a fattori esterni o non ne identificano, suggerendo un locus of control esterno e indicando la necessità di rafforzare l’educazione sanitaria e la consapevolezza individuale.

Sono emerse richieste di un supporto psicologico più strutturato, una migliore comunicazione tra centro trapianti e ambulatorio, e strumenti organizzativi come sistemi di promemoria per la gestione terapeutica, a testimonianza di un bisogno di accompagnamento non solo clinico, ma anche emotivo e pratico nel lungo termine.

La percezione di vulnerabilità nei primi anni post-trapianto richiede interventi educativi mirati, mentre nei pazienti trapiantati da più tempo è necessario mantenere alta l’attenzione sul rispetto terapeutico, prevenendo comportamenti superficiali o intolleranze legate alla cronicità della cura. Per migliorare la gestione post-trapianto si evidenzia l’utilità di:

  • Programmi educativi e counseling infermieristico;
  • Strumenti digitali per promemoria e monitoraggio;
  • Supporto psicologico personalizzato;
  • Integrazione di un team multidisciplinare che coinvolga nefrologi, farmacisti, infermieri e altri specialisti.

Infine, future ricerche con campioni più ampi e con un confronto in fase pre e post trapianto, potrebbero esplorare in modo più approfondito

i fattori dinamici che influenzano la percezione della malattia e l’evoluzione dell’aderenza nel tempo, promuovendo modelli di presa in carico più completi e centrati sulla persona.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

  1. Port FK, Wolfe RA, Mauger EA, Berling DP, Jiang K. Comparison of survival probabilities for dialysis patients vs cadaveric renal transplant recipients. JAMA. 1993
  2. Matas AJ, Lawson W, McHugh L, Gillingham K, Payne WD, Dunn DL, Gruessner RW, Sutherland DE, Najarian JS. Employment patterns after successful kidney transplantation. Transplantation. 1996
  3. “Keown P. Improving quality of life–the new target for transplantation.” (“Importance of socioeconomic, clinical, and psychological factors on …”) Transplantation. 2001
  4. Il trapianto di rene una sfida continua. Giornale italiano di nefrologia. Disponibile all’indirizzo GIN_A30VS60_00089_2.pdf (consultato il 7 novembre 2024)
  5. Un’analisi empirica dei consumi sanitari e dei costi dei trapiantati di rene in Italia, CENSIS, 2013 (consultato il 10 novembre 2024)
  6. Massey EK, Tielen M, Laging M, Beck DK, Khemai R, van Gelder T, Weimar W. The role of goal cognitions, illness perceptions and treatment beliefs in self-reported adherence after kidney transplantation: a cohort study. J Psychosom Res. 2013 Sep;75(3):229-34. doi: 10.1016/j.jpsychores.2013.07.006. Epub 2013 Aug 3. PMID: 23972411.
  7. De Pasquale C, Veroux M, Indelicato L, Sinagra N, Giaquinta A, Fornaro M, Veroux P, Pistorio ML. Psychopathological aspects of kidney transplantation: Efficacy of a multidisciplinary team. World J Transplant. 2014 Dec 24;4(4):267-75. doi: 10.5500/wjt.v4.i4.267. PMID: 25540735; PMCID: PMC4274596.
  8. Mellon L, Doyle F, Hickey A, Ward KD, de Freitas DG, McCormick PA, O’Connell O, Conlon P. Interventions for increasing immunosuppressant medication adherence in solid organ transplant recipients. Cochrane Database Syst Rev. 2022 Sep 12
  9. Massey EK, Tielen M, Laging M, Beck DK, Khemai R, van Gelder T, Weimar W. The role of goal cognitions, illness perceptions and treatment beliefs in self-reported adherence after kidney transplantation: a cohort study. J Psychosom Res. 2013 Sep;75(3):229-34. doi: 10.1016/j.jpsychores.2013.07.006. Epub 2013 Aug 3. PMID: 23972411.
  10. De Pasquale C, Veroux M, Indelicato L, Sinagra N, Giaquinta A, Fornaro M, Veroux P, Pistorio ML. Psychopathological aspects of kidney transplantation: Efficacy of a multidisciplinary team. World J Transplant. 2014 Dec 24;4(4):267-75. doi: 10.5500/wjt.v4.i4.267. PMID: 25540735; PMCID: PMC4274596.
  11. Lam WY, Fresco P. Medication Adherence Measures: An Overview. Biomed Res Int. 2015;2015:217047. doi: 10.1155/2015/217047. Epub 2015 Oct 11. PMID: 26539470; PMCID: PMC4619779

Poster025_ID07_ANDAMENTO DELLA CONTAMINAZIONE DELLE EMOCOLTURE NEL SETTING DI DIALISI DEL PO VERSILIA: analisi retrospettiva 2022-2024



ANDAMENTO DELLA CONTAMINAZIONE DELLE EMOCOLTURE NEL SETTING DI DIALISI DEL PO VERSILIA:
analisi retrospettiva 2022-2024


Giannico Giusy, Pianadei Caterina, Romboni Daniela*, Bonuccelli Elena*, Farioli Elena*, Bigicchi Michela**, Tazzioli Maria Rosa**.

Team AID Presidio Ospedaliero;
*UOC Nefrologia e Dialisi;
**Direzione Infermieristica Ospedale Versilia, Azienda USL Toscana Nordovest


BACKGROUND E OBIETTIVI

L’emocoltura rappresenta il gold standard per la diagnosi delle batteriemie (BSI), ma la contaminazione del campione continua a essere il principale problema associato a questo tipo di test. Il College of American Pathologists (CAP) definisce contaminata un’emocoltura in cui sono presenti uno o più batteri in un solo flacone o in un solo set dei due o tre set di emocolture, microrganismi quali stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS), Micrococcus spp., streptococchi del gruppo viridans, Cutibacterium acnes, Corynebacterium spp. e Bacillus spp.

La contaminazione di un’emocoltura comporta rischi significativi per i pazienti, come la somministrazione di terapie antibiotiche non necessarie e costi aggiuntivi per il sistema sanitario. Nel setting specialistico della dialisi l’accesso vascolare centrale è spesso la via privilegiata per il prelievo, nonostante la letteratura evidenzi tassi di contaminazione più elevati rispetto al prelievo periferico. Questo studio si propone di valutare l’andamento della contaminazione delle emocolture raccolte nel reparto di Dialisi del PO Versilia durante il triennio 2022-2024.

MATERIALI E METODI

È stata condotta un analisi retrospettiva osservazionale dei dati inviati dal laboratorio a cadenza trimestrale per gli anni 2022, 2023 e 2024. Per ogni trimestre sono stati anche riportati i germi rilevati come contaminanti.

RISULTATI

Il valore soglia raccomandato dalla letteratura è quello compreso tra 0 e 3%, ed in caso di set raccolti da soli CVC deve mantenersi al di sotto del 5%. Durante il triennio considerato, sono state inviate 788 emocolture di cui 29 (3.68%) contaminate.

L’analisi effettuata per singolo anno mostra un evidente diminuzione dei tassi di contaminazione tra l’anno 2022 (6.9%) e 2023 (2.1%).
Si rileva un lieve incremento di un punto percentuale nell’anno 2024 (3.1%).

I microorganismi contaminanti rilevati sono stati:
Staphylococcus hominis [quattro (13.8%)],
Staphylococcus xylosus [nove, 31.03%)],
Staphylococcus epidermidis [dodici, (41.38)],
Staphylococcus haemoliticus [tre, (10.3%)],
Staphylococcus Pettenkoferi [uno, (3.44%)].

CONCLUSIONI

Il monitoraggio della contaminazione delle emocolture è un importante indicatore di garanzia della qualità delle prestazioni di laboratorio. Sebbene le emocolture siano il gold standard nella diagnosi delle infezioni del flusso sanguigno, esiste un alto rischio di contaminazione. È importante sottolineare che il setting della dialisi rappresenta un contesto peculiare, caratterizzato dalla presenza di pazienti con accessi vascolari centrali a lunga permanenza e un patrimonio venoso spesso depauperato, che non consente di eseguire sistematicamente il prelievo da vena periferica. I risultati rilevati presso il setting di Dialisi del P.O Unico Versilia possono essere considerati complessivamente buoni, in quanto si mantengono entro gli standard previsti dalla letteratura.

In conclusione, il presente studio evidenzia la necessità di una riflessione critica sulla complessità di confrontare i dati relativi alle contaminazioni delle emocolture nei pazienti sottoposti a dialisi rispetto quelli osservati in altri contesti ospedalieri. Questo perché sia il setting della dialisi che le caratteristiche peculiari di questa tipologia di pazienti sembrano aumentare il rischio di contaminazione.


INTRODUZIONE

Le infezioni del flusso sanguigno (BSI), inclusa la candidemia, rappresentano una delle principali cause di morbilità e mortalità nei pazienti ospedalizzati a livello globale1.

Nonostante l’introduzione di nuove tecnologie diagnostiche, l’emocoltura continua a rappresentare il gold standard per la diagnosi della sepsi, della febbre di origine ignota e, più in generale, delle infezioni del flusso sanguigno (BSI). Questo metodo, considerato una delle azioni prioritarie da intraprendere entro la prima ora dal riconoscimento della sepsi, permette non solo di isolare e identificare i patogeni responsabili, ma anche di testarne la sensibilità agli antimicrobici. Inoltre, l’emocoltura si distingue per il suo eccellente rapporto costo/efficacia, confermandosi uno strumento fondamentale nella gestione clinica delle infezioni2-7.

Tuttavia, un problema rilevante legato a questa procedura diagnostica è rappresentato dalle contaminazioni, le quali possono compromettere sia la gestione clinica che l’accuratezza dei risultati diagnostici.3 Secondo il College of American Pathologists (CAP), un’emocoltura è considerata contaminata quando in uno solo dei flaconi o in un solo set dei due o tre prelevati, viene riscontrata la presenza di uno o più microrganismi comunemente associati alla flora cutanea, come stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS), Micrococcus spp., streptococchi del gruppo viridans, Cutibacterium acnes, Corynebacterium spp. e Bacillus spp.2

Il tasso di contaminazione rappresenta un indicatore chiave per valutare l’appropriatezza delle emocolture. A livello internazionale, sulla base dei dati di prevalenza, è raccomandato che i tassi di contaminazione nei reparti di degenza si mantengano inferiori al 3%.6 Inoltre, secondo le Raccomandazioni APSI-SIMPIOS sull’emocoltura nel paziente settico, il tasso di contaminazione dovrebbe rimanere inferiore al 3% per le emocolture prelevate da vena periferica e inferiore al 5% per quelle prelevate da solo catetere venoso centrale (CVC), riflettendo un controllo rigoroso della qualità del prelievo e della gestione clinica (Vedi tabella 1).7

Tabella 1. Elenco di possibili indicatori

I pazienti che effettuano emodialisi utilizzando un catetere venoso centrale (CVC), sono esposti a un rischio maggiore di infezioni correlate al catetere (CRBSI) e presentano maggiori morbilità, mortalità e costi sanitari4. La letteratura sottolinea l’importanza, in caso di sospetto di batteriemia correlata al catetere venoso centrale (CVC), di prelevare contestualmente un set di emocolture dal CVC e un set da una vena periferica. È fondamentale che il volume di sangue prelevato sia lo stesso da entrambe le sedi, al fine di calcolare correttamente il tempo di positivizzazione differenziale (Differential Time to Positivity, DTP). Questo parametro è cruciale per distinguere le infezioni correlate al catetere da altre fonti di batteriemia6.

E’ da notare però che, nel contesto della dialisi, non è sempre facile ottenere un campione di sangue periferico. Ciò può essere dovuto a diversi fattori, come l’impossibilità di accedere alle vene del paziente per esaurimento del patrimonio vascolare o la necessità di preservare una vena per un futuro accesso vascolare (AV). Inoltre, la gestione delle emocolture nelle unità di dialisi ambulatoriali può essere subottimale, ad esempio per tempi variabili prima che le bottiglie di coltura vengano poste in incubatore, per differenze di temperatura durante il trasporto al laboratorio di microbiologia o per l’uso di “antibiotic locks” impiegati nella prevenzione delle CRBSI, che possono interferire con la diagnosi4.

Le attuali linee guida del CDC e dell’IDSA forniscono indicazioni generali per la diagnosi delle CRBSI5-6, tuttavia non sono state validate nelle circostanze specifiche dei pazienti dializzati con catetere venoso centrale (CVC), evidenziando una lacuna diagnostica per questa popolazione4.

Partendo da tali presupposti, questo studio si propone di valutare l’andamento della contaminazione delle emocolture raccolte nel reparto di dialisi del Presidio Ospedaliero Versilia durante il triennio 2022-2024.


METODOLOGIA

Questo studio si inserisce all’interno di un programma di monitoraggio sistematico dei tassi di contaminazione delle emocolture condotto in tutto l’Ospedale. Il monitoraggio viene effettuato mediante l’estrazione trimestrale dei dati dal sistema informatico da parte del personale del laboratorio di microbiologia, che fornisce un report dettagliato a tutti i reparti. Tale report include il numero totale di emocolture inviate, il numero di emocolture contaminate e la percentuale di contaminazione. Questi dati vengono utilizzati come base per analisi e discussioni periodiche con gli operatori sanitari di ciascun setting, coinvolgendo i coordinatori e i direttori delle unità operative.

Il presente studio si è focalizzato sul setting di Dialisi, analizzando i dati relativi al monitoraggio delle emocolture raccolte nel reparto di dialisi dell’ospedale Versilia durante il triennio 2022-2024. L’analisi è stata condotta in collaborazione tra il personale addetto alla prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza (ICA), denominato Team AID in Toscana, e il personale clinico del reparto di dialisi. È stato richiesto il supporto del laboratorio di microbiologia per ottenere informazioni dettagliate sui microrganismi identificati come contaminanti, con particolare attenzione alla loro tipologia e frequenza. È stata effettuata un’analisi retrospettiva dei dati forniti dal laboratorio per gli anni 2022, 2023 e 2024. Per ciascun trimestre sono stati analizzati i seguenti parametri:

  • Il numero totale di emocolture inviate dal reparto di dialisi;
  • Il numero di emocolture contaminate;
  • La percentuale di contaminazione;
  • La tipologia e la frequenza dei microrganismi identificati come contaminanti.

RISULTATI

Durante il triennio oggetto di studio (2022-2024), sono state inviate complessivamente 788 emocolture dal reparto di dialisi del Presidio Ospedaliero Versilia. Di queste, 29 campioni (3.68%) sono risultati contaminati, superando leggermente il valore soglia raccomandato dalla letteratura per i prelievi da CVC (≤3%) e collocandosi entro il limite massimo per i set raccolti esclusivamente da CVC (≤5%).

I dati annuali evidenziano un trend significativo:

2022: Il tasso di contaminazione è risultato pari al 6.9%, il valore più elevato del triennio, segnalando una criticità iniziale nel controllo delle contaminazioni.

2023: Si è registrata una diminuzione marcata del tasso di contaminazione, che è sceso al 2.1%, rientrando ampiamente nei limiti raccomandati.

2024: Si è osservato un leggero incremento pari a circa un punto percentuale, con un tasso di contaminazione finale del 3.1%, pur mantenendosi entro i limiti consigliati per i set da CVC.

Come mostrato nel Grafico 1, il tasso di contaminazione nel 2022 era significativamente più alto rispetto agli anni successivi. Nel Grafico 2 sono riportati gli andamenti per singolo trimestre.

Grafico 1. Confronto tasso medio di contaminazione delle emocolture; ANNI 2022-2023-2024

Grafico 2.  Tasso di contaminazione delle emocolture per singolo trimestre; ANNI 2022-2023

Identificazione dei microrganismi contaminant

L’analisi retrospettiva ha consentito di individuare i microrganismi contaminanti più frequentemente riscontrati. Nel complesso, sono stati identificati 29 microrganismi contaminanti, appartenenti principalmente al genere Staphylococcus.

Nel Grafico 3 possiamo vedere la distribuzione dei microorganismi contaminanti identificati.

Grafico 3. Distribuzione Percentuale dei Germi Contaminanti (2022-2024)


CONCLUSIONI

Il monitoraggio della contaminazione delle emocolture è un indicatore cruciale per garantire qualità laboratoristica e sicurezza dei pazienti. Nonostante le emocolture rappresentino il gold standard nella diagnosi delle BSI, la contaminazione rimane un problema rilevante, con potenziali ripercussioni sulla gestione clinica e sull’appropriatezza terapeutica. Il setting dialitico presenta sfide specifiche che spesso ostacolano l’aderenza alle linee guida, le quali raccomandano prelievi simultanei sia da catetere venoso centrale (CVC) sia preferibilmente da vena periferica controlaterale2. Nei pazienti dializzati, però, il patrimonio venoso compromesso e la necessità di riservare un arto per il confezionamento di una fistola arterovenosa (FAV) rendono queste indicazioni difficilmente applicabili.

Nel presente studio, condotto presso il reparto di dialisi dell’Ospedale Versilia (2022-2024), il tasso di contaminazione ha mostrato una significativa riduzione: dal 6,9% nel 2022, al 2,1% nel 2023, stabilizzandosi al 3,1% nel 2024, rimanendo così entro i limiti accettabili per i prelievi da solo CVC (<5%). Questo miglioramento riflette l’efficacia di strategie di monitoraggio e feedback, che hanno permesso di affrontare le criticità iniziali. L’analisi microbiologica ha confermato una predominanza di specie di Staphylococcus, in linea con quanto riportato in letteratura.

Questi risultati sottolineano l’importanza di un approccio diagnostico e gestionale specifico per il setting dialitico, che richiede l’adozione di strategie mirate, come il prelievo dal circuito di dialisi previsto dalle linee guida KDOQI con un intervallo temporale minimo di 15 minuti tra il prelievo da circuito e quello da CVC, e una rigorosa aderenza alle procedure standardizzate. Tali strategie, unite alla formazione continua del personale, diventano strumenti fondamentali per ridurre la percentuale di contaminazione delle emocolture in questo setting, permettendo soprattutto di migliorare la qualità diagnostica, andando a differenziare con precisione le colonizzazioni da CVC, le contaminazioni delle emocolture e le vere e proprie CRBSI.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

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Poster025_ID05_DIABETE, MALATTIA RENALE CRONICA E ULCERE VASCOLARI: Strategie di Prevenzione e Implicazioni Cliniche



DIABETE, MALATTIA RENALE CRONICA E ULCERE VASCOLARI:
Strategie di Prevenzione e Implicazioni Cliniche


AUTORI: Alfonso Zarrella1, Gaetano Ferrara2, Sara Morales Palomares3, Marco Sguanci4, Giovanni Cangelosi5, Mauro Parozzi6.

1 Centro Nephrocare, Minervino Murge
2 Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi di Carpi, Azienda USL di Modena
3 Dipartimento di Farmacia, Salute e Scienze Nutrizionali (DFSSN), Università della Calabria,
4 Department of Medicine and Surgery, Research Unit of Nursing Science, Campus Bio-Medico University of Rome,
5 Unità di Diabetologia, Asur Marche-Area Vasta 4 Fermo, 63900 Fermo,
6 Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Parma


ABSTRACT

INTRODUZIONE:

Una delle principali problematiche sanitarie a livello mondiale è il diabete. Con oltre 537 milioni di persone colpite nel mondo e una previsione di crescita fino a 783 milioni entro il 2045. Questa condizione cronica rappresenta una delle cause più frequenti di mortalità precoce e costituisce un importante fattore di rischio per numerose complicanze sistemiche, tra cui la malattia renale cronica (MRC). Nei Paesi industrializzati, il diabete è infatti la causa predominante di MRC, responsabile di circa il 40% dei nuovi casi che necessitano di terapia sostitutiva renale. La MRC, caratterizzata da un progressivo deterioramento della funzione renale, comporta una significativa riduzione della qualità della vita e un aumento sostanziale del rischio di mortalità. A livello globale, si stima che circa 850 milioni di persone siano affette da MRC, un numero in crescita, favorito dall’invecchiamento della popolazione e dalla diffusione di condizioni croniche come il diabete e l’ipertensione. Le complicanze della MRC sono numerose e comprendono disfunzioni minerali e ossee, acidosi metabolica, dislipidemie, infiammazione cronica sistemica e un rischio cardiovascolare notevolmente elevato. In questo contesto, lo stato nutrizionale dei pazienti risulta spesso compromesso, con elevata incidenza di malnutrizione, la quale aggrava ulteriormente il danno vascolare.

Una delle manifestazioni cliniche più gravi associate alla coesistenza di diabete, MRC e compromissione vascolare è rappresentata dalle ulcere arteriose vascolari. Queste lesioni, legate a ischemia critica e ridotto apporto di ossigeno ai tessuti, sono fonte di dolore cronico, infezioni ricorrenti e complicanze severe, fino all’amputazione degli arti e alla morte prematura. Tale quadro clinico è reso ancor più complesso dalla scarsa risposta ai trattamenti convenzionali. Un ulteriore elemento critico è costituito dalle lacerazioni cutanee (skin tears), lesioni apparentemente superficiali ma con elevato potenziale di cronicizzazione nei soggetti con fragilità cutanea dovuta a diabete, MRC o patologie vascolari. In presenza di ischemia e infiammazione sistemica, queste ferite possono evolvere rapidamente in ulcere croniche, aggravando il decorso clinico.

Alla luce di queste evidenze, diventa fondamentale esplorare con maggiore dettaglio le interconnessioni tra diabete, MRC e sviluppo di ulcere vascolari arteriose. L’identificazione precoce dei fattori di rischio e l’implementazione di strategie personalizzate di prevenzione e trattamento rappresentano passi cruciali per migliorare la gestione clinica e gli esiti di salute nei pazienti affetti da queste complesse condizioni.


OBIETTIVO

Obiettivo di questo studio, pertanto, è l’esplorazione del problema legato allo sviluppo di ulcere vascolari arteriose nei pazienti con diabete e malattia renale cronica, identificando i fattori predisponenti nella popolazione, le strategie di prevenzione percorse e la valutazione dell’efficacia di protocolli di gestione integrata nel migliorare gli esiti clinici e nel ridurre le amputazioni maggiori


METODOLOGIA

È stata condotta una revisione narrativa della letteratura, in conformità con la Scale for the Assessment of Narrative Review Articles (SANRA) per garantire rigore metodologico e chiarezza nella presentazione delle evidenze. La domanda di ricerca è stata formulata utilizzando il modello PICO (tabella 1) un approccio strutturato e rigoroso che garantisce che l’interrogativo di ricerca sia specifico, metodico e completo.

Tabella 1. Framework PICO.

P (Popolazione) Pazienti con MRC (Malattia Renale Cronica)
I (Intervento) Esplorazione di strategie preventive per le ulcere vascolari arteriose e le complicanze correlate, come le ulcere vascolari
C (Confronto) Assistenza standard o nessun intervento preventivo mirato per le complicanze vascolari
O (Esito) Prevalenza delle ulcere vascolari arteriose, identificazione dei fattori di rischio, riduzione dell’incidenza/severità e miglioramento degli esiti clinici per i pazienti

La ricerca è stata eseguita sulle banche dati PubMed, CINAHL, Embase e Cochrane Library, includendo anche fonti di letteratura grigia (Google Scholar, NICE, AHRQ) per garantire un’analisi completa delle evidenze disponibili. Per la ricerca sono state utilizzate le parole chiave “prevenzione”, “malattia renale cronica” e “ulcere vascolari”, opportunamente combinate con gli operatori booleani come “AND” e “OR” all’interno di stringhe di ricerca adattate alle specificità delle diverse banche dati.

Sono stati inclusi studi primari e secondari, linee guida cliniche provenienti da banche dati e fonti di letteratura grigia, se disponibili in italiano o inglese e focalizzati sulla prevenzione delle ulcere vascolari nei pazienti con MRC (malattia renale cronica), pubblicati negli ultimi 10 anni. La selezione degli studi è avvenuta in base alla loro rilevanza rispetto agli obiettivi della revisione e alla loro conformità con gli standard di ricerca predefiniti. Sono stati esclusi gli articoli che non erano in linea con gli obiettivi della revisione o che non rispettavano gli standard di ricerca stabiliti. Sono state escluse anche le pubblicazioni con dati incompleti. Inoltre, non sono stati considerati gli studi pilota o preliminari, gli articoli non sottoposti a un rigoroso processo di peer-review e quelli basati esclusivamente su dati auto-riferiti non verificabili.

RISULTATI

A seguito dello screening di 1797 records, in questa revisione sono stati inclusi nove studi che coprono il periodo dal 2012 al 2024, effettuati in Europa, Asia, Australia e Stati Uniti, riflettendo l’interesse globale nell’indagare la malattia arteriosa periferica e la sua relazione con la malattia renale cronica. Un studio osservazionale ha identificato diversi fattori di rischio che contribuiscono alla malattia arteriosa periferica (PAD) nei pazienti in emodialisi, con il diabete mellito e l’ipertensione come principali comorbidità. In una coorte di 51 pazienti, 23 mostrano polsi periferici assenti, portando a una prevalenza stimata di PAD del 41,5%. Il diabete non solo aumenta il rischio di malattia vascolare, ma anche di complicazioni agli arti inferiori come il piede diabetico, associato a gravi esiti clinici. I risultati suggeriscono che i pazienti con diabete in emodialisi abbiano tassi di PAD significativamente più elevati rispetto a quelli senza diabete, sottolineando l’importanza di un monitoraggio clinico attento. Un altro studio ha confermato la relazione tra malattia renale cronica (MRC) e PAD, con il 28% dei pazienti MRC che mostrano segni di PAD. Utilizzando l’indice caviglia-braccio (ABI), è emersa una forte correlazione tra le fasi avanzate di MRC e la malattia coronarica, con un rischio aumentato di complicazioni cardiovascolari nei pazienti con MRC avanzata. I pazienti con MRC mostravano anche tassi più elevati di PAD, legati non solo a fattori di rischio cardiovascolari tradizionali, ma anche a rischi renali specifici come una ridotta velocità di filtrazione glomerulare (eGFR), albuminuria e infiammazione cronica. In un altro studio, durante un follow-up di 6,3 anni su 3169 partecipanti, 589 hanno sviluppato PAD, confermando un rischio maggiore nei pazienti MRC rispetto alla popolazione generale. Fattori tradizionali come diabete, ipertensione e fumo sono stati identificati come rilevanti, ma sono stati anche riconosciuti fattori non tradizionali come l’infiammazione e la resistenza all’insulina. L’ABI è stato utilizzato per diagnosticare PAD, e l’analisi ha sottolineato l’importanza di monitorare entrambi i tipi di fattori di rischio nei pazienti MRC per prevenire la PAD.

Una meta-analisi ha esplorato i fattori di rischio per le ulcere del piede nei pazienti con MRC in dialisi, identificando come fattori di rischio significativi l’ipertensione, la PAD, e il diabete di tipo 1 e 2. È emerso che il sesso femminile agiva come un fattore protettivo contro le ulcere. Le analisi hanno confermato la robustezza dei risultati, evidenziando il bisogno di interventi mirati per la prevenzione e gestione delle complicazioni nei pazienti MRC. In sintesi, questi studi sottolineano l’importanza di un approccio multidisciplinare e di un monitoraggio attento dei fattori di rischio, sia tradizionali che non tradizionali, nei pazienti con MRC e PAD per migliorare la gestione e la qualità della vita di questa popolazione ad alto rischio.

Figura 1. Strategie di prevenzione.


CONCLUSIONI

Questa revisione identifica i principali fattori di rischio e le strategie preventive per la MAP nei pazienti con MRC, evidenziando il ruolo centrale del diabete nella patogenesi di queste complicanze. Le evidenze disponibili supportano gli attuali approcci diagnostici, ma sottolineano anche la necessità di studi più ampi per consolidare le strategie di prevenzione. L’implementazione di protocolli standardizzati e programmi di formazione specifica sono cruciali per un miglioramento nella gestione clinica di questi pazienti.


POSTER


BIBLIOGRAFIA

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Poster025_ID04_GESTIONE INFERMIERISTICA DEL CVC: LINEE GUIDA E COMPLICANZE



GESTIONE INFERMIERISTICA DEL CVC:
LINEE GUIDA E COMPLICANZE


Dott. Sebillo Massimo


INTRODUZIONE:

La gestione infermieristica del catetere venoso centrale (CVC) durante la dialisi è cruciale. Assicurarsi della corretta disinfezione del sito, monitorare eventuali segni di infezione,  garantire un flusso adeguato, sono aspetti fondamentali affinchè si possa garantire al paziente un trattamento sostitutivo efficace. Risultano altresì essenziali la documentazione accurata e la comunicazione con il team medico. Prima di addentrarci nella gestione, è anzitutto opportuno ricordare la corretta classificazione dei CVC, che può essere effettuata in base a diversi parametri. In breve, essa può essere classificata in base alla misura (French  per il diametro esterno, Gauge per il diametro interno di ogni singolo lume che può comporre il CVC, Centimetri per la lunghezza; in base al numero di lumi (uno due, tre, o più); in base al tipo di punta del CVC (aperta o chiusa);  in base al materiale di costruzione (poliuretano alifatico, silicone); in base al tempo di permanenza (Catetere di Permanenza Tunneled, Catetere di Permanenza Non-Tunneled, Catetere di Permanenza Non-Tunneled Temporaneo).

Conoscere e seguire le linee guida per la gestione infermieristica del Catetere Venoso Centrale durante la dialisi risulta cruciale per garantire la sicurezza del paziente. Di seguito sono riportate alcune linee guida generali che possono essere applicate, ma è sempre consigliabile seguire le specifiche raccomandazioni dell’istituzione sanitaria locale o delle organizzazioni sanitarie nazionali:

  1. Igiene delle mani, utilizzo di guanti e mascherina: assicurarsi che il personale segua rigorosamente le pratiche di igiene delle mani prima di ogni manipolazione del CVC, nonché dei dispositivi di protezione individuale.
  2. Valutazione del sito di ingresso (exit site): ispezionare regolarmente il sito di ingresso del CVC per evidenziare eventuali segni di infezione, come arrossamento, gonfiore o secrezioni.
  3. Tecnica asettica durante le manipolazioni: utilizzare una tecnica asettica durante tutte le manipolazioni del CVC, inclusa l’accessione e l’uscita, ad esempio dopo aver rimosso i tappi e prima di riporli, disinfettare (eseguire lo Scrub=strofinare) accuratamente gli HUB con Clorexidina 2% o alcol 70%;
  4. Disinfezione del sito:
  • Seguire le procedure di disinfezione del sito di ingresso del CVC prima di ogni procedura;
  • Utilizzare agenti antisettici appropriati: l’antisettico cutaneo di prima scelta è la Clorexidina;
  • in caso di controindicazioni alla Clorexidina, è possibile utilizzare alcool 70%;
  • far asciugare bene l’antisettico cutaneo prima di applicare la medicazione; nel caso di soluzioni a base di Clorexidina alcolica, attendere almeno 30 secondi, per gli iodofori almeno 1,5- 2 minuti;
  • le medicazioni con membrane semipermeabili trasparenti vanno sostituite almeno ogni 5-7 giorni;
  • le medicazioni con garza e cerotto sterile almeno ogni 2 giorni. Non vi sono dati definitivi a proposito della superiorità delle medicazioni trasparenti rispetto a quelle con garza;
  • in presenza di secrezioni del sito di emergenza, preferire medicazioni con garza;
  1. Gestione del lock: Il “lock” di un Catetere Venoso Centrale (CVC) in dialisi si riferisce alla procedura di instillazione di una soluzione anticoagulante (soluzione di lock) nel lume del catetere per prevenire la formazione di coaguli. Questo processo aiuta a mantenere il CVC funzionante e riduce il rischio di trombosi. Nei pazienti con elevata incidenza di infezioni per evitare la rimozione del CVC si può tentare la cosiddetta Lock Therapy, ovvero la chiusura con soluzioni antimicrobiche.
  2. Monitoraggio dei segni vitali
  3. Formazione e istruzione del paziente: fornire formazione e istruzioni al paziente e ai familiari sulle cure domiciliari del CVC, inclusa l’igiene del corpo e il riconoscimento di eventuali segni di infezione.
  4. Gestione delle complicanze: essere pronti a gestire tempestivamente complicanze come l’occlusione, l’inginocchiamento, il dislocamento parziale o totale e l’infezione.
  5. Documentazione: mantenere una documentazione accurata di tutte le attività legate al CVC, compresi gli accessi, le irrigazioni, e qualsiasi segno di infezione.
  6. Aggiornamenti periodici delle competenze

Le complicanze associate ai Cateteri Venosi Centrali (CVC) possono essere varie e dipendono da diversi fattori, tra cui la durata dell’uso del catetere, la tecnica di inserzione, l’igiene e la salute generale del paziente. Ecco alcune delle complicanze più comuni associate ai CVC:

  1. Infezione: le infezioni sono una delle complicanze più gravi e comuni. Possono verificarsi localmente nel sito di inserzione o diffondersi sistemicamente causando sepsi. L’igiene durante le manipolazioni del catetere e il monitoraggio regolare sono fondamentali per prevenire le infezioni.
  2. Trombosi: la formazione di coaguli di sangue (trombosi) all’interno del catetere o nelle vene circostanti può causare ostruzioni e compromettere il flusso sanguigno.
  3. Ostruzione: coaguli di sangue, fibrina o depositi di calcio possono ostruire il lume del catetere, riducendo o bloccando il flusso di sangue.
  4. Malposizionamento: il catetere potrebbe non essere posizionato correttamente, influenzando l’efficacia della terapia o aumentando il rischio di complicanze.
  5. Emorragia: l’emorragia può verificarsi durante o dopo l’inserzione del catetere a causa di lesioni ai vasi sanguigni circostanti.
  6. Pneumotorace: se il CVC viene inserito attraverso la giugulare interna, c’è un rischio di pneumotorace se l’ago perfora accidentalmente la pleura.
  7. Perforazione di strutture circostanti: durante l’inserzione, il catetere potrebbe perforare accidentalmente arterie, nervi o organi interni.
  8. Exit site infection (infezione del sito di uscita): le infezioni possono svilupparsi nel sito in cui il catetere esce dalla pelle.
  9. Dislocazione: il catetere potrebbe spostarsi dalla sua posizione originale, causando problemi nell’accesso vascolare o nell’efficacia della terapia.
  10. Reazioni avverse: alcuni pazienti possono sviluppare reazioni avverse, come ipersensibilità o risposte infiammatorie locali, al materiale del catetere.
  11. Rischi associati all’uso prolungato: con l’uso prolungato del CVC, aumenta il rischio di complicanze come stenosi venosa, fibrosi e compromissione della funzione vascolare.

La prevenzione delle complicanze è fondamentale e coinvolge pratiche asettiche durante l’inserzione del catetere, una gestione adeguata durante l’uso e un monitoraggio regolare del paziente. Inoltre, l’educazione del paziente riguardo alla cura domiciliare del catetere è importante per prevenire infezioni e altre complicanze. La gestione delle complicanze quando si presentano richiede spesso un intervento tempestivo e coordinato da parte del team multidisciplinare.

In merito è interessante citare uno studio effettuato nel periodo Covid (Targeting COVID-19 prevention in hemodialysis facilities is associated with a drastic reduction in central venous catheter-related infections) le cui conclusioni risultano esemplari circa l’efficacia delle misure preventive in tema di infezioni CVC-correlate: nel 2020 si è osservata una riduzione del 91% dei contagi correlati al catetere rispetto allo stesso periodo del 2019 e la riduzione dell’83% rispetto a tutto il 2018. E la motivazione è evidentemente da associare all’utilizzo accurato di guanti e mascherine del periodo Covid.

FOCUS: I segni di infezione associati a un CVC (Central Venous Catheter) possono includere sintomi locali al sito d’inserzione o segni di infezione sistemica. È importante riconoscere questi segni precocemente per prevenire complicazioni più gravi. Alcuni segni comuni di infezione del CVC possono includere: Rougeur (rossore), il sito d’inserzione del CVC può diventare rosso, caldo e gonfio; Dolore, il paziente può sperimentare dolore al sito d’inserzione del CVC; Secrezione, può esserci la presenza di pus o altri tipi di secrezioni dal sito del CVC; Febbre, un aumento della temperatura corporea può essere un segno di infezione sistemica; Rigors: episodi di brividi o brividi possono essere un segno di infezione sistemica; Irritabilità o malessere generale, il paziente può sentirsi stanco, debole o avere altri sintomi sistemici; Alterazioni nei parametri ematici: i test del sangue possono mostrare segni di infezione, come un aumento dei globuli bianchi; Ostruzione del CVC, un cambiamento nel flusso del sangue durante la dialisi può indicare un’eventuale ostruzione del CVC, che può essere correlata a un’infezione.

Se sospetti un’infezione del CVC, è fondamentale contattare immediatamente il personale sanitario. La tempestiva identificazione e gestione delle infezioni sono cruciali per prevenire complicazioni gravi, come la sepsi.

FOCUS: La trombosi associata ai Cateteri Venosi Centrali (CVC) è una complicanza potenziale e può verificarsi quando si formano coaguli di sangue all’interno del catetere o nelle vene circostanti. La trombosi può ostacolare o bloccare il flusso di sangue attraverso il catetere, compromettendo l’efficacia del trattamento e aumentando il rischio di altre complicanze. Ecco alcune informazioni sulla trombosi da CVC:

–    Cause: stasi ematica (il sangue può stagnarare all’interno del catetere, specialmente se il flusso sanguigno non è sufficientemente veloce), lesioni vascolari, coaguli ematici preesistenti..

–    Segni e sintomi di trombosi: riduzione del Flusso di Sangue (una riduzione o un arresto del flusso di sangue attraverso il catetere); dolore o gonfiore (dolore, gonfiore o sensazione di pesantezza nella zona in cui è inserito il catetere, ad es della gamba omolaterale nel CVC femorale); cambiamenti di colore della pelle (la pelle intorno al sito di ingresso del catetere può diventare più chiara o più scura; aumento della temperatura locale (a zona intorno al catetere può diventare calda al tatto).

–    Prevenzione e Gestione: flusso sanguigno adeguato (mantenere un adeguato flusso sanguigno attraverso il catetere può essere essenziale per prevenire la trombosi. Ciò può coinvolgere l’uso regolare del catetere per evitare la stasi del sangue); tecnica sterile durante l’accesso (assicurarsi che tutte le manipolazioni del catetere siano eseguite seguendo procedure asettiche per ridurre il rischio di lesioni vascolari e infezioni); monitoraggio regolare (monitorare regolarmente il flusso sanguigno attraverso il catetere e valutare la presenza di segni e sintomi di trombosi); trattamento anticoagulante (se la trombosi è confermata, il trattamento anticoagulante può essere indicato per sciogliere il coagulo e prevenire ulteriori complicanze. In alcuni casi, potrebbe essere necessario rimuovere il CVC e sostituirlo con uno nuovo); adeguata gestione del lock (prima dell’utilizzo, effettuare l’aspirazione del lock e successivamente praticare l’irrigazione con soluzione fisiologica sterile per prevenire l’occlusione. Dopo l’utilizzo, o comunque al termine del trattamento emodialitico, praticare l’irrigazione con soluzione fisiologica sterile e successivamente instillare una soluzione anticoagulante specifica della quantità pari alla lunghezza dei lumi solitamente indicata espressamente).

In merito a questultimo punto un prodotto che stiamo apprezzando molto nella nostra pratica quotidiana è il TauroLock, ve ne sono includere formulazioni, tuttavia noi utilizziamo esclusivamente TauroLock-HEP (contiene eparina, che è un anticoagulante comunemente utilizzato per prevenire la coagulazione all’interno del lume del catetere) e TauroLock-UI (contiene taurolidina, citrato al 4% e 25.000/UI di urochinasi ed è l’opzione giusta per chi ha bisogno di una soluzione lock senza eparina).


POSTER


Fonti bibliografiche:

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Poster025_ID03_L’INFLUENZA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA PREVISIONE DELL’IPOTENSIONE INTRADIALITICA (IDH): una revisione della letteratura



L’INFLUENZA DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE NELLA PREVISIONE DELL’IPOTENSIONE INTRADIALITICA (IDH): una revisione della letteratura


Giada Vrenna, Alessandro Mento, Carla Vives Benedi.

ASST GOM Niguarda, Milano


INTRODUZIONE:

La malattia renale cronica (CKD) è una condizione progressiva caratterizzata da cambiamenti strutturali e funzionali del rene dovuti a varie cause che frequentemente porta allo stadio terminale (ESRD), richiedendo un trattamento di dialisi o un trapianto di rene. Secondo le linee guida KDOQI del 2005 e le successive modifiche KDIGO del 2012 è in genere definita come una riduzione della funzionalità renale, una velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) inferiore a 60 mL/min per 1,73 m² o la presenza di  marcatori di danno renale o anomalie rilevate tramite esami di laboratorio o imaging che sono presenti da almeno 3 mesi. (Levey AS et al., 2005 – Stevens PE et al., 2013)

Il peso globale della malattia renale cronica è sostanziale ed in crescita: circa il 10% degli adulti in tutto il mondo è affetto da qualche forma di malattia renale cronica, traducendosi in 1,2 milioni di decessi. (Kalantar-Zadeh K et al. ,2021)

Nonostante i recenti progressi nel campo della dialisi, l’elevata mortalità dei soggetti con malattia renale allo stadio terminale (ESRD) sottoposti a terapia sostitutiva rimane una delle principali sfide. (Saran R. et al., 2019)

L’ipotensione intradialitica (IDH) rappresenta  una delle complicanze più comuni dell’ emodialisi (HD) nella pratica clinica. E’ caratterizzata da un calo significativo della pressione sanguigna durante le sedute emodialitiche e la sua  prevalenza varia dall’ 8 a 40%.(Yu J et al. ,2018- Kuipers J et al. ,2019). Le ragioni di questa  discrepanza potrebbero essere dovute all’uso di definizioni differenti di IDH e/o a diverse  caratteristiche del paziente quali: età, presenza di diabete, malattie cardiovascolari, aumento eccessivo di peso interdialitico (IDWG), distribuzione del peso e del genere.

Nel 2005 le linee guida della National Kidney Foundation Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI) hanno definito l’IDH come una diminuzione della pressione arteriosa sistolica di  >= 20 mm/ Hg o della pressione arteriosa media di  10 mm /Hg in combinazione con sintomi di ipotensione quali crampi, vomito o dolore al petto.(K/DOQI Workgroup, 2005). Hanno fatto seguito le Best Practice Europee, che hanno definito l’IDH come una diminuzione della pressione arteriosa sistolica >20 mm Hg in combinazione con interventi clinici e infermieristici associati.(Kooman J et al., 2007). Altri gruppi di Linee guida nazionali e cliniche hanno sostanzialmente adottato definizioni simili basate sulle indicazioni della KDOQI del 2005 o dall’European Best Practices Group (EBPG) del 2007 con alcune varianti tra cui: qualsiasi episodio di diminuzione della PA durante la dialisi che richiede un intervento immediato,  un calo improvviso e sintomatico della pressione arteriosa sistolica (PAS) di 30 mmHg o una diminuzione in MAP di 10 mmHg oppure la Definizione Nadir 90 cioè, la riduzione della pressione arteriosa sistolica al di sotto di 90 mmHg, che meglio correla con la mortalità. (Flythe JE et al., 2015 – Ashby D et al. ,2019).

L’eziologia dell’ IDH è multifattoriale e coinvolge vari fattori di rischio come l’eccessiva ultrafiltrazione (UF), una valutazione errata del peso target, uno stato nutrizionale compromesso, la presenza di anemia, di cardiopatia ischemica,  la compromissione dei  riflessi cardiovascolari, la disfunzione autonomica e la disregolazione endoteliale. (Sulowicz W et al. ,2006).

Le soluzioni tradizionali per la gestione dell’ipotensione durante la dialisi includono azioni tipo  il posizionamento del paziente nella posizione di Trendelenburg per favorire il ritorno venoso, ridurre o interrompere l’ultrafiltrazione, somministrare soluzione salina per ripristinare il volume intravascolare, l’uso di temperature del dializzato più basse, la regolazione della concentrazione di sodio nel dializzato. (Kanbay M et al., 2020- Chou JA et al.,2017 – Hamrahian SM et al., 2023) Inoltre, sono importanti strategie preventive durante il periodo interdialitico, la gestione dell’aumento di peso (IDW)  e la regolazione dei farmaci antipertensivi. (Cedeño S. et al.,2020).

Ad ogni modo, il verificarsi di questa complicanza continua a rappresentare un problema sanitario importante al giorno d’oggi. Il profilo dei pazienti negli ultimi decenni è cambiato, aumentando l’incidenza e la prevalenza di fragilità e comorbilità multiple esponendolo maggiormente al rischio di soffrire di IDH e delle sue conseguenze anche gravi tra cui lo stordimento miocardico, danni miocardici silenti, ischemia cerebrale, ischemia intestinale, causando un aumento del  rischio di ospedalizzazione, comparsa di  eventi cardiovascolari,  alterazione della qualità della vita e nei casi più gravi mortalità. (Chou JA et al., 2018- Stefánsson BV et al., 2014 – Burton JO et al. ,2009 – McIntyre CW et al. ,2015 – Daugirdas JT ,2001).

Inoltre, il realizzarsi di questa condizione implica l’interruzione della seduta somministrando una minore dose di dialisi, genera un sovraccarico di volume rendendo difficile il raggiungimento del peso secco per la frequente infusione di fluidoterapia, influisce  sulla funzione renale residua nei nuovi pazienti sottoposti a dialisi, è causa di trombosi dell’accesso vascolare di tipo fistola arterovenosa, facilita il passaggio delle endotossine dal lume intestinale al circolo sanguigno attraverso l’ischemia intestinale. (Hajal J et al., 2019).

Tuttavia, misure preventive come gli aggiustamenti del peso secco, la profilazione del sodio e il raffreddamento del dialisato hanno dimostrato risultati limitati di efficacia nel ridurre l’incidenza di IDH. Pertanto, vi è un’urgente necessità di dati più accurati e approcci personalizzati per prevedere e prevenire questa complicanza. L’incorporazione dell’intelligenza artificiale (IA) potrebbe fornire un metodo completamente nuovo all’analisi dei dati  consentendo progressi innovativi nelle terapie dialitiche.

Negli ultimi anni, l’applicazione  dell’intelligenza artificiale (IA) e dell’apprendimento automatico (ML) hanno guadagnato notevole attenzione in vari campi medici  tra cui la gestione della malattia renale cronica e dell’emodialisi. (Gaweda AE et al. ,2020).

L’incorporazione dell’ IA potrebbe fornire un metodo completamente nuovo all’analisi dei dati aprendo le porte a interventi preventivi consentendo progressi innovativi nelle terapie dialitiche.


OBIETTIVO

Nella previsione dell’IDH i modelli di apprendimento automatico hanno mostrato risultati promettenti utilizzando vari predittori e metriche di performance. Ad ogni modo, è necessario consolidare le conoscenze disponibili dalla letteratura per ottenere una comprensione completa dell’uso dell’IA e la sua applicazione. Questa revisione  riassume e analizza articoli pertinenti sull’applicazione di modelli di apprendimento automatico per la previsione dell’IDH. Esaminando questi articoli è possibile identificare tendenze comuni, valutare le prestazioni di diversi modelli di ML e fornire raccomandazioni per la ricerca futura.


MATERIALI E METODI

È stata condotta una revisione narrativa della letteratura (Grant e Booth, 2009) seguendo la metodologia riportata nella “Scale for the Assessment of Narrative Review Articles” (SANRA), che prevede sei fasi: (1) Giustificare l’importanza della revisione; (2) Dichiarare gli scopi specifici o formulare quesiti di ricerca; (3) Descrivere la strategia di ricerca adottata; (4) Attribuire le referenze alle dichiarazioni sintetizzate; (5) Dimostrare un ragionamento scientifico nella discussione; (6) Riportare i dati in modo appropriato. (Baethge et al., 2019)

La domanda di ricerca è stata formulata utilizzando il modello PICO attraverso l’analisi di tre elementi PIO: (P) Pazienti sottoposti ad emodialisi (HD); (I) Identificare gli studi che applicano l’intelligenza artificiale nella previsione dell’IDH; (O) Valutare l’impatto di predittori e metriche di performance di intelligenza artificiale adeguate ai risultati nella previsione dell’IDH.

La ricerca  ha comportato l’identificazione di report pertinenti pubblicati in letteratura tramite interrogazione di banche dati scientifiche (PubMed/Medline, Embase, EBSCO,Web of Science, Cochrane Library) siti Web di Società Scientifiche ed archivi digitali; la strategia di ricerca implementata è stata finalizzata alla selezione dei record con le parole chiave «Artificial Intelligence  AND  Intradialytic hypotension», inclusi termini MeSH e operatori booleani presenti nel titolo e nel testo. I riferimenti e le citazioni dagli articoli selezionati sono stati esaminati per identificare ulteriori studi oggetto di revisione. La popolazione target  includeva studi che hanno esaminato l’applicazione di modelli dell’ IA per la previsione dell’IDH nei pazienti adulti sottoposti ad emodialisi di mantenimento (HD). Una prima selezione è avvenuta per pertinenza dopo lettura di titolo e abstract; successivamente al reperimento in full text dei documenti eleggibili si è proceduto ad un ulteriore processo di screening per rilevanza dopo lettura integrale. Quelli da includere nella revisione sono stati sottoposti ad analisi e sintesi narrativa. Ammissibili per l’inclusione sono stati tutti gli studi  incentrati sull’applicazione di modelli di apprendimento automatico per prevedere l’IDH nei pazienti adulti sottoposti ad emodialisi: (a) in lingua inglese, italiana, spagnola; (b) con testo integrale disponibile; (c) condotti con qualunque metodologia di ricerca. Non sono stati imposti limiti temporali rispetto alla data di pubblicazione. Sono stati esclusi gli  articoli che  non soddisfacevano i criteri di inclusione: (1) se si concentravano esclusivamente su analisi descrittive o esplorative senza modelli di previsione; (2) valutavano metodi ML generali senza applicazione specifica a IDH; (3) erano case report, revisioni, editoriali o  erano inaccessibili per l’estrazione dei dati.


RISULTATI

PROCESSO DI SELEZIONE

L’interrogazione dei database biomedici è avvenuta tra Dicembre 2024 e Gennaio 2025. I record individuati sono stati complessivamente 66. Dopo rimozione dei duplicati n.23 ed al termine del processo di selezione per titolo e abstract sono stati ritenuti eleggibili 19  record a cui sono corrisposti altrettanti documenti eleggibili in full text; di essi, dopo lettura integrale e screening per rilevanza, il processo di selezione, consistente nella flowchart PRISMA, ha permesso di includere nella presente revisione 19 articoli.

Flowchart PRISMA

CARATTERISTICHE DEGLI STUDI

La prevenzione dell’IDH è emersa come tema principale in tutti gli studi evidenziando, come l’integrazione di strumenti di apprendimento automatico (Machine Learning ML) e intelligenza artificiale (AI) possano supportare gli operatori sanitari nella gestione clinica dei pazienti con malattia renale cronica (MRC) sottoposti a emodialisi (HD). Gli studi inclusi hanno utilizzato vari modelli AI e ML per prevedere l’IDH nei pazienti in emodialisi. Hanno coinvolto analisi retrospettive di grandi set di dati e registri di dialisi avvalendosi di diversi algoritmi, come reti neurali artificiali (ANN), alberi decisionali (DT), macchine a vettori di supporto (SVM), XGBoost, foreste casuali (RF), LightGBM, metodi di ensamble. Sono stati utilizzati anche apparecchiature elettromedicali come l’ECG e il PPG. I set dati utilizzati per lo sviluppo dei modelli variavano ma comunemente includevano dati demografici dei pazienti (età, sesso, peso corporeo), dati clinici (malattia primaria, comorbilità, complicazioni), risultati di laboratorio (emoglobina, albumina, elettroliti) e parametri correlati alla dialisi (portata del flusso sanguigno, dose dialitica, pressione arteriosa, pressione venosa,  pressione arteriosa sistolica, pressione arteriosa diastolica, velocità di ultrafiltrazione, incremento ponderale, peso secco).

Gli studi presenti nella revisione sono stati condotti in vari paesi del mondo: Europa (Spagna/Portogallo n = 4); Stati Uniti n = 2 ; Asia (Cina n = 3), (Taiwan n= 4) (Corea n = 4) (Iran n = 1); Africa(Egitto n =1); tra il 2018 e il 2024.

La revisione dei risultati ha portato alla suddivisione  in tre macro-aree: (a) Predire l’IDH mediante l’utilizzo di strumenti elettromedicali; (b) Previsione del rischio di IDH in base al tempo di comparsa come supporto al processo decisionale da parte del personale sanitario; (c) Predire IDH attraverso set di dati specifici estrapolati prima e/o durante il trattamento dialitico e dalle condizioni cliniche dei pazienti.

  1. PREDIRE IDH MEDIANTE L’UTILIZZO DI STRUMENTI ELETTROMEDICALI

Vaid et al. (2023), hanno creato un framework di apprendimento profondo basato sui dati ricavati dagli elettrocardiogrammi (ECG) effettuati entro 48 ore prima del trattamento, con un valore soglia che produceva una sensibilità di 0,8, ed una una specificità di 0,59. (Nafisi et al. 2018), invece, hanno utilizzato diverse caratteristiche del segnale della fotopletismografia digitale (PPG) per l’identificazione di tre episodi di classe (non-IDH, pre- IDH e IDH) tramite algoritmo genetico (GA) insieme ad  AdaBoost. Il metodo proposto è risultato efficace nell’ identificare e classificare con una precisione media di 94,5 ± 1,0.

  1. PREVISIONE DEL RISCHIO DI IDH IN BASE AL TEMPO DI COMPARSA COME SUPPORTO AL PROCESSO DECISIONALE DA PARTE DEL PERSONALE SANITARIO

Nello studio di (Dong et al. 2023) sono stati convalidati due tipi di modelli ML predittori di IDH, il modello IDH-A è stato sviluppato per la previsione del rischio per il successivo trattamento emodialitico con statistiche di C 0,82,  il secondo modello IDH-B è stato sviluppato per la valutazione del rischio prima di ogni trattamento di emodialisi con statistiche C di 0,68. Il metodo LightGBM è risultato facilmente  interpretabile e dalle buone prestazioni. (Zhang H. et al. 2023) hanno sviluppato un modello con algoritomo XGBoost per la previsione in tempo reale di IDH . Il loro modello ha raggiunto un’area sotto la curva caratteristica operativa del ricevitore (AUROC) di 0,89 per la previsione dell’ipotensione con 15-75 minuti di anticipo. Mendoza-Pitti et al. (2022), invece   hanno definito l’IDH come una diminuzione della pressione sanguigna sistolica (PAS) di 20 mmHg o più se una qualsiasi delle PAS misurate all’ora 1, all’ora 2, all’ora 3 e all’ora 4 era inferiore alla PAS misurata “ all’ora 0’’. I risultati hanno mostrato che il loro  modello basato su XGBoost, ha le migliori prestazioni, mostrandosi affidabile termini di identificazione di IDH o non-IDH con un’area sotto la curva (AUC) per la caratteristica operativa del ricevitore (ROC) di 0,969 e un’AUC per il richiamo di precisione (PR) di 0,945. (Hyung W. K. et al. 2022)  hanno sviluppato un  modello di apprendimento profondo basato su una rete neutrale convoluzionale (CNN), ottenendo le migliori prestazioni nel predire IDH nelle varie definizioni presenti in letteratura prevedendo gli episodi di IDH con 10 minuti di anticipo utilizzando solo i dati generati durante l’emodialisi, senza violazione della privacy. (Lee H. et al. 2021) hanno utilizzato un modello di deep learning per predire il rischio di IDH entro 1 ora distinguendo 3 definizioni di IDH (1-2-3). Il modello di rete neurale ricorrente per la previsione di IDH 1 ha raggiunto un’area sotto la curva caratteristica operativa del ricevitore di 0,94, per la previsione di IDH 2 e di IDH 3 ha raggiunto un’area sotto la curva caratteristica operativa del ricevitore di 0,87. Allo steso modo (Yang IN et al. 2024) hanno implementato una dashboard digitale visualizzando la probabilità in tempo reale di IDH per ciascun paziente, entro 60 minuti. Il modello di previsione XGBoost ha mostrato un’ AUC più elevato (accuratezza: 0,858, sensibilità: 0,858, specificità: 0,858, area sotto la curva: 0,936). La dashboard digitale potrebbe aiutare a fornire un intervento adeguato per prevenire l’IDH consentendo al personale sanitario di rivedere rapidamente la curva di rischio in tempo reale e le previsioni di rischio storiche, incluso se l’IDH si è verificato durante l’ultima dialisi. (Gervasoni et al. 2023) nel loro studio studio hanno sviluppato due modelli di rischio che prevedessero il verificarsi di IDH sintomatica nel successivo trattamento di emodialisi (NextTreat-IDH), nonché quattro o più episodi di IDH sintomatica nel mese successivo (NextMonth-4IDH). L’algoritmo XGBoost  per la previsione dell’occorrenza di IDH nella successiva sessione di dialisi e nel mese successivo ha avuto un’AUC di 0,84 e un PR di 0,48. Nonostante però la rilevanza del problema, le differenze nelle definizioni IDH e la mancanza di dati inequivocabili riguardanti le implicazioni delle varie manifestazioni cliniche associate alla bassa pressione sanguigna durante la dialisi, rendono questo evento difficile da gestire. (Hong D. et al. 2023) hanno costruito un sistema di allerta precoce utilizzando il modello RF (Random Forest) che ha dimostrato le migliori prestazioni (AUROC = 0,812) per la previsione dell’IDH prima di iniziare l’emodialisi. Incorporandolo nel software di dialisi e utilizzandolo come sottopagina,  questo modello effettua la previsione in anticipo del rischio di IDH prevista prima della dialisi.

  1. PREDIRE IDH ATTRAVERSO SET DI DATI ESTRAPOLATI PRIMA E/O DURANTE IL TRATTAMENTO DIALITICO

(Gómez-Pulido et al. 2021) hanno utilizzato classificatori DT e SVM tramite 22 parametri clinici, riportando rispettivamente accuratezze del 74-81% e del 74-80% per prevedere l’ipotensione durante le sessioni di emodialisi con valori di specificità superiori al 90% in tutti i casi. (Barbieri et al. 2019) hanno sviluppato una rete neurale artificiale (ANN) multistrato combinandolo con 60 caratteristiche del paziente per raggiungere il compromesso ottimale che minimizzi il rischio associato alla gestione emodinamica (IDH) ed al contempo raggiunga l’adeguatezza del trattamento dialitico, migliorando l’esito cardiovascolare dei pazienti in emodialisi, ottenendo un’accuratezza di previsione accettabile. (Lee H. et al. 2023) hanno combinanto i dati clinici delle tre sessioni più recenti  creando un modello di intelligenza artificiale basato sull’apprendimento profondo predittivo sulla rete neurale convoluzionale unidimensionale (1D-CNN) ottenendo le migliori prestazioni predittive, prevedendo  con precisione l’IDH con  valori AUROC e AUPRC rispettivamente di 0,87 e 0,35 costituendo uno strumento di screening affidabile e che consente al personale sanitario di identificare i pazienti vulnerabili e di adattare le impostazioni prima del trattamento emodialitico. Zhang M. et al. (2024) hanno utilizzato il metodo TreeSHAP per fornire spiegazioni globali e individuali per il modello di previsione del rischio di IDH, rendendo possibile prevedere gli eventi di IDH durante l’emodialisi rilevando una sola misurazione della pressione sanguigna prima dell’inizio del trattamento, consentendo al team medico di gestire e prevenire tempestivamente l’IDH con un’accuratezza di 0,92 e un’AUC di 0,95. (Yun D. et al. 2023) hanno preso in considerazione non solo gli episodi IDH nelle sessioni di HD ma anche gli episodi di ipertensione intra dialitica (IDHTN) introducendo un nuovo modello per la previsione simultanea in tempo reale di IDH e IDHTN incorporando le informazioni da sessioni precedenti di emodialisi, sviluppando un modello basato sul trasformatore di fusione temporale (TFT) raggiungendo AUROC pari a 0,953, 0,892 e 0,889 nel predire rispettivamente IDH-1, IDH-2 e IDHTN aiutando il personale ad intervenire in anticipo sia per IDH che per IDHTN. Il lavoro di (Othman et al. 2022) allo stesso modo, ha incluso oltre all’ ipotensione, anche altre complicanze  intra dialitiche come  ipertensione e dispnea, considerando le condizioni ambientali come la temperatura dell’ambiente e l’umidità, nonché il consumo di pasti durante la dialisi, fattori che vengono spesso trascurati e che si sono rivelati significativi. Lo studio, basato sull’ algoritmo Random Forest ha ottenuto la previsione del rischio di IDH in base alla pressione sanguigna rilevata prima dell’inizio dell’emodialisi e ad altre caratteristiche cliniche, consentendo così al team medico di adattare rapidamente le prescrizioni emodialitiche, per una gestione e una prevenzione tempestiva di IDH, con un’accuratezza del 98%. Nello studio retrospettivo (Huang J. C. et al. 2020) hanno sviluppato un sistema intelligente con capacità di prevedere la pressione sanguigna (BP) durante l’HD e confrontare ulteriormente diversi algoritmi di apprendimento automatico per la previsione della pressione sistolica successiva (SBP). Il metodo RF è il più accurato ed il metodo di  ensemble presenta le migliori prestazioni predittive, supportando il personale di dialisi nell’assistenza personalizzata e nell’intervento tempestivo, migliorando così l’assistenza ai pazienti di dialisi e la loro sicurezza.

DISCUSSIONE

I risultati degli studi inclusi nella presente revisione  evidenziano il potenziale di questi moderni approcci computazionali per affrontare la sfida di lunga data dell’IDH, dacchè è stata associata a esiti clinici avversi e ad un maggiore utilizzo dell’assistenza sanitaria. (Sands JJ et al., 2014 – Stefánsson BV. et al., 2014) . Negli studi esaminati è stata impiegata una vasta gamma di algoritmi AI/ML, tra cui ANN, DT, SVM, XGBoost, RF e LightGBM, metodi di ensamble.

Questa diversità sottolinea la versatilità e l’adattabilità delle tecniche AI/ML nell’affrontare compiti predittivi complessi poiché, ogni algoritmo, opera su principi diversi e può essere più adatto a strutture di dati o domini problematici specifici. Incorporando diversi set di funzionalità, questi modelli possono rilevare l’intricata interazione di vari fattori di rischio e potenzialmente fornire previsioni più accurate e personalizzate. Tuttavia, è essenziale riconoscere i limiti degli studi esaminati. La maggior parte degli studi ha utilizzato progetti retrospettivi che possono introdurre bias e limitare la generalizzabilità dei risultati. Un’altra considerazione critica è l’integrazione di questi modelli predittivi nei sistemi di supporto alle decisioni cliniche (CDSS). Incorporando, senza soluzione di continuità, i modelli AI/ML nei sistemi delle cartelle cliniche elettroniche e nei flussi di lavoro clinici esistenti, gli operatori sanitari possono sfruttare queste capacità analitiche avanzate per guidare strategie di trattamento personalizzate e misure preventive per l’IDH. Purtroppo, l’implementazione di successo di tali CDSS richiede un’attenta esperienza dell’utente, della privacy dei dati e della conformità normativa. Nondimeno, l’interpretabilità e la trasparenza dei modelli AI/ML restano un problema, giacché molti algoritmi operano come “scatole nere”, rendendo difficile comprendere i processi decisionali sottostanti.


CONCLUSIONI

Nonostante i numerosi progressi nella gestione della dialisi, l’IDH rimane un problema pervasivo. A causa principalmente della mancanza di una definizione generalmente accettata, la sua vera prevalenza rimane poco chiara. La sintomatologia clinica dell’IDH si sovrappone ampiamente alla deplezione effettiva del volume intravascolare; è associata a notevole sofferenza del paziente, ad episodi ricorrenti di ischemia transitoria degli organi e ad un rischio aumentato di morbilità e mortalità cardiovascolare immediata e futura. L’uso di tecnologie innovative potrebbe aiutare a rilevare e prevedere l’IDH, consentendo interventi precoci e migliori risultati per i pazienti.

I risultati di questa revisione evidenziano il potenziale di sfruttare l’applicazione di modelli di apprendimento automatico per la previsione dell’IDH aprendo le porte a interventi preventivi per prevenire questa complicanza nei pazienti sottoposti a dialisi.

La ricerca futura dovrebbe concentrarsi su studi su larga scala con raccolta di dati standardizzata e convalida di modelli di apprendimento automatico in diverse popolazioni di pazienti per far progredire ulteriormente il campo. Inoltre, l’integrazione di dati fisiologici in tempo reale da dispositivi di monitoraggio in modelli di apprendimento automatico può migliorare la loro accuratezza e utilità clinica. In conclusione, questi modelli possono potenzialmente migliorare la stratificazione del rischio e guidare interventi proattivi per mitigare l’insorgenza di IDH durante i trattamenti di dialisi, sfruttandoli come un alleato, come un sistema di supporto alle decisioni e non come un sostituto del giudizio clinico, riducendo  la vigilanza dei professionisti.


POSTER


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Poster025_ID02_DALLA TECNICA BUTTONHOLE ALL’INTRODUZIONE DELLA MULTIPLE SINGLE CANNULATION TECHNIQUE



DALLA TECNICA BUTTONHOLE ALL’INTRODUZIONE DELLA MULTIPLE SINGLE CANNULATION TECHNIQUE


Infermieri: Fabiola Carolei, C. R. Negrelli, L. Rossi, T. Zaccaria, Dal Bosco Virgilio;

Direttore: Dott. Stefano MANGANO

SC Nefrologia e Dialisi Presidio Ospedaliero L. Galmarini Tradate (VA) -Italia


INTRODUZIONE

Il Buttonhole (BH) e la Multiple Single Cannulation Technique (MuST) sono tecniche di puntura per la Fistola Arterovenosa Nativa (FAVn). Il BH è indicato per accessi vascolari complessi, destinati altrimenti alla puntura ad area, la MuST si propone di prevenire errori nell’esecuzione della puntura a scala di corda.


METODOLOGIA

Dopo visione di letteratura e linee guida aggiornate, inizia l’implementazione del BH nel febbraio del 2022. La sua applicazione ha richiesto la stesura di una procedura dedicata sottoposta ad autorizzazione aziendale ed informazione dettagliata al paziente e la pianificazione di attività mirate per ottimizzare le varie fasi operative che includevano: la nascita di un gruppo pilota, la revisione della turnistica per garantire il personale dedicato, supporto visivo attraverso foto e brevi filmati dei siti di incannulazione, studio ecografico per monitorare il tunnel sottocutaneo, l’adozione di procedure di antisepsi rigorose, riunioni settimanali utili per seguire la tecnica, risolvere criticità e favorire l’addestramento di tutti i colleghi superando le iniziali resistenze. Parallelamente è stata introdotta una formazione specifica per i pazienti coinvolti: il lavaggio antisettico dell’arto con FAVn prima della seduta dialitica e l’esecuzione semestrale del tampone nasale per la ricerca dello Staphylococcus aureus (con eventuale eradicazione); grazie alla conoscenza acquisita dall’osservazione delle infezioni dell’exit-site nei pazienti sottoposti a dialisi peritoneale.


RISULTATI

BH 8 pazienti arruolati: 5 M e 3 F; età anagrafica media 64 ±10 anni; anzianità dialitica media 56 mesi ±9 mesi. L’adozione delle attività introdotte ha permesso di: evitare complicanze di falsi tunnel, errori di puntura, infezioni, stravasi, ematomi, ridurre il dolore percepito, migliorare l’estetica dell’arto con FAVn diminuire i tempi d’emostasi, soprattutto nei pazienti in terapia anticoagulante.


CONCLUSIONI

Il BH si è dimostrato efficace nel garantire la salvaguardia dell’accesso vascolare. Il nostro gruppo intende affiancare la tecnica MuST al fine di standardizzare le fasi di puntura della FAVn. L’esperienza maturata nei tre anni di applicazione del BH insieme alla metodologia applicata per il suo sviluppo, ha svolto un ruolo “propedeutico”, fornendo strumenti, processi e una struttura organizzativa indispensabile per superare le sfide iniziali e definire le basi operative per la sperimentazione della nuova tecnica MuST.


POSTER


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Poster025_ID01_MUST: UN NUOVO FUTURO PER LA VENI-PUNTURA DELLA FISTOLA ARTERO-VENOSA



MUST: UN NUOVO FUTURO PER LA VENI-PUNTURA DELLA FISTOLA ARTERO-VENOSA


R. Negrelli ¹, F. Carolei ¹, E. Castelli¹, M. Curto ¹, M Turba ¹, S. Mangano ²

¹ Infermiere S.C. Nefrologia e Dialisi Ospedale L. Galmarini.  , ASST Sette Laghi, Tradate (Va)
² Direttore S.C. Nefrologia e Dialisi Ospedale L. Galmarini, ASST Sette Laghi, Tradate (Va)
e-mail: [email protected]


INTRODUZIONE

Un accesso vascolare (AV) ben funzionante è un requisito indispensabile, non solo per garantire  un trattamento dialitico ottimale, ma anche, e soprattutto, per migliorarne la sopravvivenza.

La tecnica di puntura dev’essere scelta per ottenere il miglior risultato, minimizzando i danni e le complicanze associati ad una veni-puntura non adeguata e al mantenimento di una performance dell’AV.

Il monitoraggio di I° livello (osservazione, palpazione auscultazione), l’utilizzo/monitoraggio infermieristico ecografico, consentono di conoscerne in modo approfondito caratteristiche e limiti e quindi di scegliere la miglior modalità di puntura tra le tecniche disponibili: puntura ad area, scala di corda, Button Hole (BH) e Multiple Single Cannulation Technique (MuST).

Quest’ultima è una nuova opportunità di puntura da utilizzare  nelle FAV native (FAVn), che arricchisce il ventaglio di tecniche a disposizione. La tecnica consiste nel pungere, con aghi taglienti da dialisi, i vasi arterializzati in un sito costante e sempre nel medesimo punto, per questo è definita “Multiple Single”, associando l’identificazione del sito alla specifica giornata di terapia sostitutiva. Con questa premessa si deduce che la pausa di una settimana, tra un’incannulazione e quella successiva, consente ai tessuti di rimarginarsi completamente e non dare origine a un tunnel sottocutaneo, come avviene nel Button Hole. A differenza della tecnica appena citata infatti non è necessario approntare la creazione del tunnel in quanto la tecnica di puntura  non varia: è solo la sede ad essere costante e ripetitiva. La rotazione settimanale standardizzata dei siti evita la tendenza di praticare la puntura ad area che (come citata da linee guida e letteratura), espone a maggiori complicanze in particolare quando calano le attenzioni di antisepsi. Sono adatte alla MuST tutte le FAVn dai tratti brevi, almeno 3 cm di vaso pungibile, dato che i siti di incannulazione devono distanziarsi di 1 cm l’uno dall’altro. Il punto cardine  che garantisce un solido supplemento alla continuità nella prima fase di consolidamento dei siti  di puntura è la peculiare marcatura: consiste in due linee laterali che convergono e si sfiorano a indicare la sede esatta del sito di inserimento dell’ago per emodialisi. In questo periodo “di consolidamento dei siti” si deve porre attenzione estrema alla rimozione (con ago dedicato) di eventuali crostine superficiali formatesi nella sede di veni-puntura e alla accurata antisepsi con clorexidina al 2%. Al comparire della zona depigmentata in corrispondenza dei siti MuST (dopo 8/12 incannulazioni) è possibile abbandonare la marcatura.


METODOLOGIA 

E’ stata effettuata una ricerca bibliografica su PubMed e su articoli riguardanti studi randomizzati. Il team della Nefrologia e Dialisi di Tradate a Maggio 2024 ha avviato una collaborazione con i colleghi di Nephrocare Fresenius, fatta di scambio dati/ informazioni e confronti sulla bibliografia rinvenuta. La cooperazione è progredita in un meeting on-line, dove il dr R.Peralta e il dr. J. Fazendeiro hanno evidenziato le “miliar stones” della tecnica, dimostrando con immagini e dati raccolti negli anni le potenzialità di questa tecnica, prospettando i benefìci anche su AV complicati da stenosi e aneurismi. Con le suddette premesse e il supporto dell’esperienza portoghese, si è organizzata una road map per scandire la realizzazione e diffusione di questa tecnica.

1°STEP Ottenuta l’autorizzazione della Direzione Sanitaria e il reclutamento dei pazienti, si è realizzata e pubblicata nel sito aziendale la procedura operativa sulla veni-puntura MuST

2°STEP il  gruppo di lavoro composto da un tutor e quattro infermieri ha identificato e selezionato con il medico i pazienti, coinvolgendoli nella realizzazione della  metodica.  Le prime MuST sono state eseguite su FAVn ben sviluppate per socializzare con la tecnica

3°STEP L’implementazione della MuST si è esplicata attraverso riunioni di follow up settimanali, ricognizioni fotografiche, riprese video della marcatura dei siti (Fig. 1) e della tecnica e monitorando ecograficamente le FAV

4°STEP La metodica si è estesa gradualmente a una coorte di 13 pazienti (2 censured per motivi estranei alla veni-puntura)

5° STEP La tecnica è stata applicata anche su FAVn complicate da aneurismi e stenosi vascolari; con la MuST vengono sviluppati nuovi siti nelle aree cutanee non sfruttate, indenni da cicatrici e zone cutanee fibrotiche, avvalendosi della peculiare marcatura fino alla comparsa della depigmentazione cutanea.

MuST realizzata spostando il sito di puntura arterioso, accentrato in un’unica zona, dove era comparso un aneurisma, atta anche ad escludere dalla puntura del sito venoso stenosi recidivante.

Figura 1


RISULTATI

Dei 13 pazienti inizialmente arruolati, sono tutt’ora assegnati alla tecnica 11 (9M – 2F) pazienti con FAVn prossimali e distali, età anagrafica 58 (±22) anni, età dialitica 84 (±60) mesi (Fig. 2 Tabella riepilogativa). In oltre 1900 incannulazioni, nei 9 mesi di follow-up non sono comparse complicanze.  Con la MuST sono stati sviluppati nuovi siti in superfici cutanee indenni da cicatrici e aree fibrotiche. Il processo attuativo è stato graduale e accettato sia dallo staff infermieristico che dai pazienti, con risultati che confermano le aspettative. I pazienti hanno apprezzato soprattutto la riduzione del dolore alla puntura e la limitazione dei fallimenti d’incannulazione.

Grazie all’introduzione di questa nuova tecnica si è abbandonata la propensione a eseguire punture improvvisate, ripetitive e ad area.

Figura 2 Tabella riepilogativa


CONCLUSIONI

La MuST ha mantenuto il focus sulle FAVn punte con scala di corda mal eseguita con conseguimento dei risultati/vantaggi elencati in bibliografia.  Applicando questa tecnica si è raggiunto il risultato di abolizione/limitazione di punture ad area  in particolare, laddove l’intenzione iniziale di effettuare veni-punture a scale di corda non supportate da schemi di progressione, trasformava le sedi in indesiderabili punture zonali.

La collaborazione con il team esperto coadiuvato dal dr. R. Peralta con una costante e puntuale revisione critica associata alla raccolta dati, ha permesso la condivisione di informazioni finalizzate ad implementare questa nuova modalità di veni-puntura.


POSTER


Bibliografia

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  1. Peralta R, Wammi A, Stauss-Gabo M, Dias Ó, CarvalhoH, Cristóvão A. A randomised control trial protocol of MuST for vascular access cannulation in hemodialysis patients (MuSTStudy): contributions for a safe nursing intervention. BMC Nephrol. 2022;23(1):218. Published 2022 Jun21. doi:10.1186/s 12882-022-02842-3
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