Poster025_ID15_TO CURE E TO CARE: la Relazione d’Aiuto nel Percorso verso il Trapianto



TO CURE E TO CARE:
la Relazione d’Aiuto nel Percorso verso il Trapianto


Roberta Mingolla, Isabella Marchese, Silvia Ambrosio.

Centro Dialisi Presidio CTO – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
Dipartimento di MEDICINA GENERALE E SPECIALISTICA – Direttore Prof. Ezio GHIGO
S.C. NEFROLOGIA, DIALISI E TRAPIANTO U – Direttore Prof. Luigi BIANCONE – DIALISI CTO


INTRODUZIONE

Nella lingua inglese, i termini “To Cure” e “To Care” assumono significati distinti, sebbene possano sembrare simili. “To Cure” comprende una serie di azioni e interventi mirati alla risoluzione del disturbo o della malattia. In questa prospettiva, l’obiettivo della cura è ripristinare nel paziente lo stato di salute precedente alla patologia o migliorare significativamente le condizioni attuali. La medicina, tramite terapie specifiche, si occupa strettamente di questo aspetto. “To Care” riguarda l’attenzione globale al paziente, è un approccio che va oltre l’aspetto tecnico della cura, comprendendo il supporto emotivo e psicologico.

Il pensiero scientifico post-cartesiano ha concepito principalmente gli esseri viventi come complessi di organi, portando alla separazione tra mente e corpo. Così l’individuo (etimologicamente inteso come “in-dividuo”, cioè indivisibile) è stato frammentato e l’area di interesse si è focalizzata esclusivamente sul corpo.

L’evoluzione storica della figura del curante riflette un cambiamento profondo: man mano che la scienza ha affinato le sue conoscenze e gli strumenti per la ‘cura’, si è progressivamente affievolito il legame umano tra curante e paziente, un legame che trovava la sua massima espressione nell’anamnesi – ovvero nella narrazione soggettiva del disturbo. Questo momento di ascolto e condivisione, un tempo centrale, può essere considerato a tutti gli effetti come la più potente forma di placebo, capace di attivare risorse profonde e processi di “autoguarigione”.

La medicina è diventata sempre più capace di guarire, ma meno capace di prendersi cura del paziente, soprattutto di quello cronico, che ha bisogno di un rapporto di piena fiducia con l’equipe curante. Nell’iter verso il trapianto, è fondamentale integrare entrambi gli approcci per una gestione efficiente e umanizzata della patologia.

Secondo la Professoressa americana Jean Watson, l’ambiente fa la differenza.

Per Watson, l’ambiente non è solo quello fisico, ma rappresenta l’infermiere stesso: l’infermiere ambiente.

La relazione tra infermiere e paziente è essenziale affinché l’assistito non perda mai di vista la propria umanità. Alla fine degli anni 70, Watson ha creato la teoria dello Human Caring,che si basa sul prendersi cura degli esseri umani e sull’offrire assistenza infermieristica.

In questo contesto, il ruolo dell’infermiere assume un’importanza fondamentale.

Come indicato dal Codice Deontologico (art.4 nuovo codice 2025): l’infermiere cura creando con le persone una relazione, in cui l’empatia è una componente fondamentale, l’infermiere ha il dovere di agire nel massimo interesse del paziente, mettendo in atto tutte le tecniche e le competenze acquisite, comprese quelle comunicative, relazionali e psicologiche.

L’obiettivo è fornire un’assistenza globale e personalizzata, capace di rispondere non solo ai bisogni fisici, ma anche a quelli emotivi, sociali e spirituali della persona assistita.

La medicina moderna si trova oggi in una fase cruciale, tra i risultati straordinari della scienza e il crescente bisogno di umanità. È fondamentale coltivare le relazioni interpersonali e l’empatia, competenze che la tecnologia, inclusa l’intelligenza artificiale, non è ancora in grado di replicare.

Nonostante i progressi dell’intelligenza artificiale, le relazioni umane rimangono un pilastro insostituibile. La capacità di comprendere le emozioni altrui, offrire supporto sincero, leggere il linguaggio del corpo o cogliere sfumature emotive è qualcosa che solo l’essere umano può fare in modo autentico. Paradossalmente, più la tecnologia avanza, più competenze come empatia, ascolto attivo e intelligenza emotiva diventano centrali nel mondo del lavoro e nella vita sociale.

Sono “soft skills” che fanno la differenza e che nessuna macchina potrà mai imitare fino in fondo.

Fin dall’epoca di Ippocrate, si riconosce nella pratica medica una doppia dimensione: to cure, cioè curare la malattia, e to care, ovvero prendersi cura della persona. Due approcci che non si escludono, ma si completano. Il primo riguarda la tecnica e la diagnosi; il secondo, l’ascolto, la relazione e la comprensione del vissuto del paziente.

To Cure e To Care: scienza e umanità nella stessa direzione

To cure è il dominio della medicina scientifica, fatta di protocolli, esami, farmaci e interventi chirurgici. Ma senza la componente del to care, il rischio è che il paziente venga trattato solo come un “caso clinico”. To care significa invece entrare in relazione, accogliere la sofferenza anche nei suoi aspetti invisibili: paura, smarrimento, senso di impotenza. Significa restituire al paziente un ruolo attivo e responsabile, rendendolo protagonista del suo percorso di cura.

Oggi, grazie alla diffusione della medicina narrativa, della medicina integrata e della crescente attenzione alla relazione terapeutica, si cerca di colmare il divario tra questi due mondi. Emerge con forza la consapevolezza che prendersi cura della persona, e non solo della patologia, può migliorare l’efficacia stessa delle terapie.

Il caso clinico: superare il blocco con la comunicazione ipnotica

L’esperienza qui sotto riportata è frutto dell’esperienza diretta di chi sta scrivendo

Una paziente in dialisi, che aveva iniziato l’iter per l’ingresso in lista attiva per il trapianto, si trovava bloccata in un punto cruciale: non riusciva a completare le cure odontoiatriche richieste.

Le infermiere dell’ambulatorio Ma.Re.A. (Malattia Renale Avanzata) le propongono delle sedute di comunicazione ipnotica per affrontare la paura del dolore, lei accetta subito.

Le sedute le programmiamo insieme, fuori dalla dialisi, iniziano con un colloquio informale che porta alla luce un disagio ben più profondo.

Le viene chiesto che cosa vuol dire per lei la parola TRAPIANTO, le parole emerse sono state:

  • “Il trapianto è per me un tunnel dove non vedo la luce.”
  • “Non mi sono sentita parte attiva del progetto.”
  • “Non mi sono sentita ascoltata.”
  • “Ho paura del dolore.”

La paziente si sentiva esclusa dal percorso, non compresa, sopraffatta da un processo che viveva come imposto e oscuro. Il trapianto non era per lei una speranza, ma una minaccia.

Il potere trasformativo della comunicazione ipnotica

La comunicazione ipnotica ha permesso di lavorare su più livelli: cognitivo, emotivo e simbolico. Si è agito sul rafforzamento dell’identità e della motivazione, riformulando le credenze limitanti e restituendo alla paziente il senso di controllo sul proprio percorso.

Attraverso visualizzazioni guidate, linguaggio positivo e suggestioni personalizzate, si sono introdotti nuovi significati:

  • “Tu puoi farcela, perché hai già affrontato prove difficili.”
  • “Il dolore può essere affrontato e compreso, non solo temuto.”
  • “Ora sei tu a poter riaccendere la luce in questo tunnel, hai la possibilità di personalizzarlo, colorarlo e renderlo migliore per te.”

I colloqui successivi con il nefrologo, si sono svolti in mia presenza, e in accordo con il curante è stata utilizzata una comunicazione positiva, che riprendesse le parole che lei mi aveva detto.

Nel giro di due mesi, la paziente ha completato con serenità tutte le cure odontoiatriche ed è stata inserita in lista, dieci mesi dopo ha ricevuto il trapianto.

Il passaggio da un atteggiamento passivo e bloccato a una posizione attiva e fiduciosa è stato

possibile grazie alla sinergia tra to cure e to care.

Riflessioni finali

Questo caso dimostra come l’integrazione tra approccio medico-scientifico e strumenti relazionali e comunicativi sia oggi una via necessaria. La comunicazione ipnotica, lungi dall’essere una tecnica alternativa, si pone come complemento potente al percorso clinico. Quando la persona si sente ascoltata, compresa e coinvolta, anche le terapie più complesse diventano affrontabili.


CONCLUSIONE

Spesso il tempo dedicato all’ascolto del paziente è ciò che permette di cogliere segnali nascosti, ansie, paure o sintomi sfumati che nessun esame strumentale può rilevare. L’ascolto empatico è uno strumento diagnostico tanto quanto lo stetoscopio.

La fiducia tra Infermiere e paziente e medico e paziente non è un lusso, ma una componente attiva del processo di guarigione. Quando il paziente si sente accolto, compreso, coinvolto, la sua adesione alla terapia migliora, così come i suoi esiti clinici.

Accanto alla preparazione scientifica, è sempre più evidente la necessità di formare i professionisti della salute anche sotto il profilo umano: etica, psicologia, comunicazione, filosofia sono strumenti indispensabili nella “cassetta degli attrezzi” di infermieri e medici.

La lezione di Ippocrate risuona ancora oggi con straordinaria attualità: la cura efficace unisce conoscenza e umanità. To cure guarisce il corpo; to care sostiene l’anima. Solo insieme possono rendere davvero possibile la guarigione. In questo equilibrio si apre la medicina del futuro: una medicina che cura e si prende cura, con scienza, empatia e ascolto.


POSTER


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SITOGRAFIA